di Amely Becker

Il mio primo approccio alla terapia della Gestalt ebbe luogo quando fui invitata a lavorare su un sogno che avevo fatto. Un amico mi aveva offerto una seduta di prova e l’esperienza mi colpì profondamente; lavorare con il metodo della Gestalt su quel sogno mi lasciò euforica, ispirata e con molte intuizioni. La scoperta che tutte le parti del sogno possono prendere vita animandole, dando loro voce e lasciandole parlare da sé e tra loro mi ispirò una nuova comprensione del potere dell’immaginazione creativa; si trattava di una sorta di psicodramma, come una rappresentazione teatrale sul palcoscenico della mia mente. Qualche anno dopo divenni fortemente motivata a studiare adeguatamente questo approccio tanto da farne la mia professione.

La Gestalt è una forma di psicoterapia sviluppata da Fritz Perls, Laura Perls e Paul Goodman negli anni ’40 ed è un approccio olistico alla guarigione della psiche. Considera gli individui esseri complessi, considerando i loro pensieri, emozioni, comportamenti e sensazioni fisiche come aspetti interconnessi della loro esperienza. Sottolinea l’importanza di comprendere la persona nella sua totalità, piuttosto che concentrarsi solo su sintomi specifici, privilegiando il fatto che corpo, emozioni e mente sono interconnessi e lavorano assieme, in armonia o disarmonia. L’obiettivo è quello di aiutare la mente a lavorare di concerto con le emozioni e il corpo, producendo così “Gestalt” cognitivi completi. La terapia pone un’enfasi significativa sul momento presente, incoraggiando gli individui a esplorare i loro pensieri, sentimenti e sensazioni del momento. Concentrandosi sul “qui e ora”, la terapia della Gestalt mira a migliorare la consapevolezza di sé e a promuovere l’integrazione personale di questi tre campi dell’esistenza e crea connessioni con gli strati più profondi della coscienza, rinfrescandone l’esperienza in modo spontaneo. Ciò favorisce la crescita personale, producendo una soddisfazione e significato maggiori. Rimanere nella consapevolezza del presente viene definito “seguire il proprio processo”. Imparare a osservare il proprio processo nel momento presente è il modo per sviluppare la capacità di consapevolezza. Nella terapia Gestalt questo approccio è chiamato “tracking fenomenologico”. Un gestaltista esperto può avere accesso all’esperienza del proprio processo con la consapevolezza che esso è “sempre giusto”, così com’è.

Il termine “Gestalt” contiene l’essenza di ciò che rappresenta la sua metodologia. Gestalt è un vocabolo tedesco che si traduce letteralmente come “forma intera” o “figura completa”. Il verbo “gestalten” può essere tradotto come “creare” o “creare”. La Gestalt rappresenta una forma completa,

implica una figura, o configurazione, totalmente delineata di un oggetto o di un’esperienza vissuta; non manca nulla. Nel contesto della terapia, si riferisce all’insieme o al quadro completo dell’esperienza di un individuo. Attraverso la terapia della Gestalt si cerca di trasformare le interruzioni inconsapevoli del flusso di coscienza alla linea di confine del contatto della propria esperienza in un processo di consapevolezza continuo, che ci permetta di vivere in modo più consapevole e presente.

Sono nata in Germania nel periodo postbellico e ho subito pesanti condizionamenti emotivi e mentali. Sono cresciuta circondata da una famiglia che aveva forti principi su come la vita dovesse essere vissuta, con linee guida ben cementate. Mi sentivo costretta a vivere secondo una certa prospettiva, altrimenti sarei stata considerata inadatta ad essere accettata nel clan di cui facevo parte. Mi ero repressa per adattarmi e non avevo l’opportunità di connettermi con la mia vitalità fondamentale; in molti modi mi ero eliminata. Sentii il peso di questo condizionamento fino al punto da dover lasciare il mio paese d’origine all’età di vent’anni, per salvarmi da un incombente crollo mentale. Dopo alcuni anni a Londra, trovai la terapia della Gestalt. Imparai come la vita possa essere liberata dalle catene delle regole preconcette e dei giudizi di sé e come lo spazio della vita possa essere lasciato aperto, non controllato dalle pesanti pressioni della società e delle aspettative familiari.

Prima di tutto imparai che ero fondamentalmente “buona”. Non ero condannata all’isolamento, anche se non cercavo di adattarmi a ciò che era la norma. Già durante la mia formazione alla terapia della Gestalt ritrovai la mia autostima e scoprii un’energia creativa e dinamica che rivoluzionò completamente il senso del mio valere. Lontano dalla rigidità di aspettative e repressioni quasi crudeli, imparai a giocare, a trovare una voce dentro di me che fungeva da guida molto a me più consona di certe regole autoritarie che mi avevano imposto.

Stavo imparando a liberarmi dal condizionamento della voce di un forte super-io che mi diceva come vivere la vita. Non c’era più un’autorità interiorizzata a cui essere all’altezza. Invece durante la terapia mi veniva chiesto: “Che cosa vuoi? Come vuoi vivere la tua vita?” Mi fu rivelato uno spazio interno che per la prima volta mi consentiva un dialogo interiore con me stessa, che mi considerava, mi rispettava e mi incoraggiava a scoprire la libertà di trovare una risposta e una replica a queste domande. Riguardando indietro, mi stupivo di quanto la mia mente fosse stata imprigionata e oppressa in Germania, priva della libertà di sviluppare un rapporto con me stessa, ma dovendo soprattutto fare riferimento a ciò che altre autorità si aspettavano da me. Si trattava di un condizionamento molto sottile, quasi impercettibile. In seguito, stavo a Londra e mi ero presa lo spazio per sentire me stessa alle mie condizioni, mi svegliai emotivamente e mi sentii mentalmente liberata.

All’inizio di questo viaggio verso la liberazione psicologica, per un lungo periodo mi ritrovavo a ripetere: non lo so. Non so che cosa voglio, non riesco a immaginare o percepire me stessa secondo i miei t ermini. Una cosa spaventosa. Dovevo affrontare un paesaggio interiore arido, desolato, costellato da dubbi e intimidazioni, quasi paralizzato perché affollato da introiezioni altrui. Non sapevo chi fossi e che cosa volessi.

La forza della Gestalt è stata quella di aiutarmi a riavvicinarmi a me stessa, semplicemente accettando qualsiasi cosa venisse fuori nel processo di indagine. E ciò che divenne evidente era questo vuoto enorme nella mia psiche, un buco nero nascosto per lungo tempo alla vista. Pian piano imparai ad ascoltare sussurri che mi dicevano qualcosa di me. Imparai a prendere lo stimolo dalla formula della Gestalt per scoprire mantenendomi in uno spazio consapevole, presente e nel momento. Era ok il non sapere. Era giusto sentire una vacuità desolata che, con un po’ di nutrimento accorto sarebbe diventata un terreno fertile per la mia verità, i miei bisogni, i miei desideri e la mia voglia di germogliare ed evolvere in un giardino interiore colorato di potenziale creativo e di ispirazione.

Ho imparato a lasciar andare la nozione di personalità fissa, di “sé” fisso, di gestalt fissa a cui dovevo corrispondere. Non dovevo cercare di essere qualcuno per gli altri, potevo semplicemente essere la mia versione ed ero incoraggiata a dedicare tempo e spazio per aiutarmi a crescere in me stessa e imparare a seguire il mio processo. Ho scoperto molte ferite derivanti dall’abbandono, dal rifiuto e dall’allontanamento totale che mi hanno fatto sentire sostanzialmente come se non esistessi. Tutte queste ferite andavano curate. Affrontarle richiedeva coraggio e fiducia. La metodologia della Gestalt è stata il mio punto di appoggio e la struttura che mi ha sorretto in questo processo per imparare a entrare in intimità con me stessa, anziché esserne aliena.

“Il cambiamento avviene quando si diventa ciò che si è, non quando si cerca di diventare ciò che non si è”. (Arnold Beisser 1970) La “teoria paradossale del cambiamento” afferma che concentrarsi nella ricerca di ciò che si è per natura correggerà da sola qualsiasi cosa artefatta. Più si cerca di essere ciò che non si è, più si rimane uguali. Al contrario, quando le persone si identificano con la loro esperienza attuale, le condizioni di completezza e di crescita favoriscono il cambiamento, che avviene come risultato della piena accettazione di ciò che è, piuttosto che dello sforzo di essere diversi. Perls era noto per dire spesso: “Non spingete il fiume!”

Grazie al lavoro con la terapia della Gestalt sono riuscita a diventare creativa nel mio approccio alla vita e per molti anni ho praticato la terapia della Gestalt come professione, aiutando gli altri a liberarsi dalle loro alienazioni e dalle difese che avevano sviluppato. Ho scoperto che la spontaneità è il trampolino di lancio per sperimentare, per usare la vita, determinate circostanze, in modo esperienziale per scoprire il potenziale di me stessa, dissolvendo gli stereotipi e diventando flessibile nel mio approccio alla vita. E come è sorprendente il fatto che, il diventare agente di me stessa prendendo rischi, evolvendomi, affermando la mia esistenza invece di sentirmi obbligata ad adattarmi alle aspettative altrui, avesse affermato che sono una persona unica, non uno stereotipo. La mia versione ha lo stesso valore di quella di chiunque altro e la gerarchia dell’oppressione è diventata superata.

La Gestalt come orientamento e forma di terapia mi ha aiutato a sviluppare e applicare strategie di coping, di gestione. Nel rimodellare la mia percezione della vita, mi ha dato una visione, ha fertilizzato la mia immaginazione. Mi ha svegliato per farmi vivere e ha sostenuto il mio diventare coraggiosa, ha alimentato la fiducia nel mio processo, affermando la mia capacità di abbracciare il mio potenziale. Mi ha accompagnato per quaranta anni come stile di vita, orientamento, disciplina e professione.

Nel mondo del samsara si dice che è necessario avere un ego forte e funzionante, in modo che sia adatto a essere trasceso nel campo spirituale. Un ego fratturato non è una buona base per intraprendere il cammino spirituale. Il mio ego era certamente fratturato e aveva bisogno di essere riparato e guarito, la terapia della Gestalt lo ha fatto per me. E questo mi ha aiutato enormemente nel mio cammino con lo Dzogchen, con Rinpoche e con la Comunità Dzogchen.

Perls amava dire che “bisogna perdere la testa per tornare in sé”. La Gestalt mi ha insegnato a perdermi senza perdermi, come direbbe Winnicott.

Amely Becker è nata in Germania. Ha incontrato Chögyal Namkhai Norbu a Londra nel 1979. Ha iniziato il suo percorso con la Gestalt nel 1984 e si è recentemente ritirata dalla professione di psicoterapeuta della Gestalt. Amely vive a Tenerife. Traduzione italiano di Clara Lovisetti