Cara famiglia del Vajra
Alcuni lettori forse si ricorderanno di me come di un monaco che, dal 1998 al 2014, viveva a Pomaia. In quel periodo mi recavo regolarmente a Merigar per seguire gli insegnamenti. Questo aspetto della mia vita mi rese più visibile nella comunità e spero che questo assaggio della storia della mia vita possa farvi trascorrere piacevolmente un poco di tempo. Cercherò di rimanere presente mentre la scrivo!
Nel 1993 – prima di “t’internet” come dicono nel Lancashire, la contea inglese dove vissi per la maggior parte del tempo da giovane – partii per l’India alla ricerca di un guru. Non sapevo che in Inghilterra vivevano alcuni lama a quel tempo. Credevo solo che ci fosse una via, la reincarnazione per me era un fatto certo e volevo trovare qualcuno che mi dicesse come “distruggere il mio ego” e ottenere l’illuminazione. Nella mia cintura-portafoglio avevo 1500 sterline in traveller cheque, un certificato quale insegnante di inglese per stranieri e uno zainetto pieno di cose indiane.
Approdai a Dharamsala, dove ebbi modo di seguire alcuni insegnamenti e di conoscere alcuni lama Gelugpa. Quando finii i soldi, chiesi a uno di loro un mo [divination](divinazione) e questi mi disse che Taiwan sarebbe andata bene sia dal punto di vista del lavoro che della mia pratica. Andai a vivere là, dove rimasi per alcuni anni guadagnandomi da vivere come insegnante di inglese. Presi anche rifugio, incontrai per la prima volta di persona Lama Zopa Rinpoche, che mi diede alcuni consigli per la pratica. Utilizzai i mie risparmi ottenuti lavorando per recarmi due volte in India e Nepal, seguire insegnamenti e fare qualche ritiro personale e collettivo.
Ovviamente incontrai anche alcuni amici del dharma. Uno di questi mi diede un libro di Chögyal Namkhai Norbu, intitolato “Dzog-chen, lo stato di autoperfezione”. Il mio amico pensava che mi sarebbe piaciuto quel tipo di insegnamenti, che riteneva più libero rispetto allo stile Gelugpa. Il libro aveva una copertina verde chiaro. Sul retro ricordo una foto a mezzo busto di Rinpoche, che indossava una chuba di seta gialla con un cappello dello stesso colore, che ritenni fosse un abbigliamento di stile mongolo. Ricordo di essere stato molto colpito dal suo volto, soprattutto dagli zigomi, mentre pensavo qualche cosa tipo: “Che persona incredibile, mi piacerebbe incontrarlo”. Ho ancora il libro, ma ora che lo riguardo vedo che la foto è all’interno, è a figura intera, in bianco e nero, senza cappello! Forse è l’”effetto mandala” o è uno scherzo della memoria? In ogni caso, forse allora avevo piantato un seme per un futuro incontro.
Lessi il libro ma non ci capii molto, eccetto che è importante ricevere la trasmissione diretta della natura della mente. Presi mentalmente nota di farlo un giorno e poi sarei stato in grado di capire di che cosa stesse parlando.
Tredici anni dopo, nel 2006, ero monaco da quattro anni (un getsul [novice]per coloro che conoscono il termine, ossia un novizio) e facevo del mio meglio per seguire il consiglio di Lama Zopa Rinpoche, il mio primo maestro. Vivevo a Nalanda, un piccolo monastero nell’idilliaca campagna di Tarn, nel sud della Francia. Cominciai a rendermi conto della possibilità di un qualche cosa conosciuto come “scorciatoia spirituale”, dove si prende la decisione di seguire una via, si cambia il nome e si recitano tutti i tipi di mantra, ad esempio, e poi si pensa di aver fatto un grande salto spirituale in avanti. Ma in realtà forse non si è fatto alcun progresso per curare le proprie ferite d’infanzia, ad esempio, perché si potrebbe aver bisogno qualche metodo specifico dal punto di vista culturale. Per citare un monaco più anziano che conoscevo: “Il dharma non funzionerà se non si sono risolti tutti i problemi che derivano da tua madre e da tuo padre”. Fui abbastanza fortunato da incontrare una brava psicanalista, che credo fosse anche una praticante realizzata, che mi aiutò molto con i miei disturbi mentali e anche a distinguere fra il guarire la persona e l’andare oltre la persona. Fu lei che mi spronò ad andare al mio primo ritiro di Rinpoche, a Barcellona nel 2006.
Poco dopo essere arrivato al luogo del ritiro, venni rapito dal suono di un paio di migliaia di persone che cantavano il Canto del Vajra. I paramenti colorati appesi dietro a Rinpoche sembravano proprio vibrare, come increspature sull’acqua. Vidi persone danzare sui mandala, cosa che mi fece venire in mente i tappetini di Twister, un gioco per bambini. Non assomigliava a nessuna delle scene del dharma che avevo visto. Più tardi, camminando sulla spiaggia, mi ritrovai poi seduto a fissare a lungo i ciottoli per terra, sentendomi felice e senza desiderio di fare altro.
Il mio incontro successivo avvenne nel 2008, dopo che mi ero trasferito al monastero di Pomaia, in Toscana. Un gruppo di persone stava andando a un insegnamento e colsi l’opportunità di andarci di nuovo. Il tema dell’insegnamento era il suono dei cinque elementi. Quello che mi è rimasto impresso è che, guidando verso Monte Amiata, vidi un uccello predatore che volteggiava nel cielo sopra l’auto. L’uccello, sono sicuro, aveva un serpente che pendeva dal becco. Più avanti seppi che è ciò che fa Garuda.

Monaco a Merigar
Ovviamente, continuai a frequentare i ritiri. Quando terminai il programma del Master FMPT a Pomaia, ero anche sicuro di voler tornare a vivere come un laico. Capii che essere un monaco è una condizione molto speciale e virtuosa, ma che per me sarebbe stato importante avere una relazione di successo, armoniosa e riuscita, con una donna. Il rapporto con mia madre era stato terribile ed era un problema che avevo semplicemente evitato di risolvere diventando monaco. Avevo notato che la mia attenzione andava più alle donne attorno a me nel gönpa, piuttosto che ai maestri sui troni. Avevo imparato molto da Lama Zopa Rinpoche e avevo ancora amici del suo sangha, ma grazie a Chögyal Namkai Norbu avevo capito che ci si può sviluppare lungo la via senza rinunciare alla vita ordinaria e alle relazioni. Ho scoperto che anche questo non è facile, ma non mi sento più in un ruolo dove si mostra una faccia che non è coerente con i propri desideri interni. Ora sento di essere sulla barca giusta per questa parte del mio viaggio. I componenti dell’equipaggio sono un poco indisciplinati, forse sono più simili a pirati che a marinai arroulati, ma questo rende il tragitto interessante.
Spero che questo mio breve racconto non vi abbia annoiato, ho lasciato fuori sesso, violenza e droghe per non distogliere nessuno dalla contemplazione.
John Groeneveld (prima conosciuto come Losang). Traduzione italiana di Clara Lovisetti