Adriano Clemente

Discorso del primo giorno del ritiro di spiegazione e pratica della Ghirlanda dei Punti di Vista e del Guruyoga di Padmasambhava SMS tenuto a Dzamling Gar, Tenerife, dal 9 al 13 dicembre 2023.

Buongiorno a tutti. Sono molto felice di essere qui a Dzamling Gar e vorrei ringraziare il Gakyil per avermi invitato. Quando vengo qui, mi sento a casa e sento che questo è un luogo molto speciale per la continuazione dell’insegnamento Dzogchen. Ci sono tanti Gar nel mondo, ma qui a Dzamlingar, secondo me, c’è la possibilità per i praticanti di rimanere per un periodo più lungo, praticare insieme e quindi poter sviluppare la propria conoscenza. Questo dovrebbe davvero essere un luogo in cui tutti i praticanti possono incontrarsi e scambiare le proprie conoscenze ed esperienze in modo attivo. Allora abbiamo davvero una grande speranza per il futuro.

In genere, negli insegnamenti buddhisti abbiamo Sutrayana e Vajrayana. Il Sutra è più legato agli insegnamenti originali del Buddha Shakyamuni ed è diviso in Hinayana e Mahayana. L’Hinayana è un insegnamento più rivolto a coloro che hanno meno capacità di integrarsi con il senso reale della pratica e che hanno bisogno di seguire regole precise. Questo storicamente è simile a quando Buddha Shakyamuni insegnava ai suoi studenti che erano come monaci, controllavano corpo, voce e mente seguendo le regole e prendendo i voti. Nel Sutrayana c’è anche la tradizione Mahayana. Anche qui, se andiamo storicamente, si dice che all’inizio il Mahayana non esisteva. C’era solo il Buddha e ciò che egli insegnava, l’Hinayana. Quindi anche questo non possiamo saperlo, è difficile dirlo.

Tradizione Mahayana

In ogni caso, il principio del Mahayana non è semplicemente controllare il corpo, la voce e la mente facendo un voto o seguendo delle regole, ma piuttosto cercare di coltivare uno speciale tipo di intenzione. Se abbiamo a che fare di più con la mente, e con l’intenzione, allora la cosa più importante non è semplicemente seguire le regole o prendere dei voti, ma cercare continuamente di controllare la mente. Perché se stiamo seguendo un insegnamento significa che siamo consapevoli della nostra condizione, di ciò che chiamiamo samsara. Il Samsara sostanzialmente è la radice della condizione di sofferenza.

Possono esserci molti tipi di sofferenza: sofferenza fisica, sofferenza mentale, insoddisfazione e così via. Questo significa avere consapevolezza che non esiste la felicità ultima. Siamo tutti esseri umani e abbiamo tutti lo stesso tipo di tendenze mentali e modi di pensare. Siamo allo stesso livello e non ci piace soffrire. Ci piace essere felici. Ma quando proviamo a fare qualcosa per essere felici, quello che facciamo per raggiungere la felicità non porta al risultato che desideriamo. Ecco perché il Buddha, quando diede il suo primo insegnamento, le Quattro Nobili Verità, spiegò la causa della sofferenza.

Ciò che consideriamo felicità è semplicemente qualcosa che stiamo cercando di ottenere, di realizzare, qualcosa che ci piace e per la quale proviamo attaccamento. Vogliamo avere quell’oggetto che pensiamo ci darà la felicità. Ma anche se siamo felici o in quel momento proviamo piacere, esso dipende da quell’oggetto. Tuttavia, non esiste una sola cosa in tutto l’universo che sia duratura e permanente, per cui se poniamo la ricerca della felicità su qualcosa che non è stabile o permanente, allora come può questa garantirci la felicità?

Per questo motivo, il Buddha ha insegnato che la causa dell’ insoddisfazione o sofferenza è il desiderio o l’attaccamento a qualcosa di esterno e che il modo per raggiungere la felicità reale e ultima è andare alla radice. Da infinite vite – se crediamo che ci siano state vite nel passato – la nostra mente ha sempre agito allo stesso modo, rincorrendo oggetti alla ricerca della felicità, senza mai riuscire a ottenerla. Quindi ora iniziamo a rivolgere la mente indietro e invece di puntare sempre all’esterno, cominciamo a rivolgerla all’interno.

Ma cos’è la mente? Qual è la fonte della mente? Se vogliamo la pace o la felicità, dovremmo cercare di osservare la mente e vedere tutta la confusione che abbiamo. Poi, proprio come il Maestro quando fa l’introduzione, dicendoci che la mente è sempre la causa dei problemi, la causa del dualismo, la causa di ogni sofferenza, se smettiamo di rincorrere gli oggetti, smettiamo di cercare la felicità fuori, allora esiste un modo per scoprire le vere qualità naturali della mente. Queste qualità naturali della mente sono quelle che nell’insegnamento Dzogchen sono chiamate qualità auto-perfezionate. Significa che la vera natura della mente è proprio quella stessa fonte di felicità ultima o libertà ultima che stiamo inseguendo negli oggetti esterni. Quindi, se smettiamo di pensare e giudicare con la mente, se smettiamo di cercare di raggiungere qualcosa che crea azioni e karma, e facciamo il contrario, allora c’è la possibilità di fermare questa causa del samsara. Questa è la terza Nobile Verità.

Naturalmente, per fare ciò, abbiamo bisogno di qualcuno che ci guidi, che ci indichi cosa dobbiamo fare per muoverci al contrario rispetto all’oggetto, per rivolgerci all’interno e scoprire queste qualità naturali. Questo è ciò che noi chiamiamo “la via”. Se stiamo seguendo una via significa che stiamo prendendo un impegno e che vogliamo fare questo lavoro per noi stessi.

Insegnamenti Vajrayana

Poi abbiamo un’altra serie di insegnamenti chiamata Vajrayana. Guru Padmasambhava fu un importante maestro della tradizione Vajrayana. Fin dall’inizio il Vajrayana introduce la vera natura della mente come la radice di tutti i fenomeni. Ma mentre nella tradizione Sutra abbiamo l’idea che il samsara sia il risultato delle azioni e del karma, quindi sia qualcosa di negativo che dovremmo superare perché è più in linea con la nostra capacità generale di esseri umani, il Vajrayana , fin dall’inizio introduce il principio del “Vajra”. Vajra significa tutte le manifestazioni, ciò che consideriamo visione impura, visione dualistica, ogni cosa fin dall’inizio è già essa stessa la manifestazione di questa potenzialità primordiale. È solo che noi non abbiamo la visione giusta e la percepiamo in modo distorto. Quindi, per esempio, anche se siamo in questa sala, nel senso reale si tratta di un mandala di Buddha, bodhisattva e dakini, e così via. Ma noi non lo vediamo. Noi vediamo come vedono gli esseri umani, maschi, femmine, tutti i pensieri, i concetti, i nomi, le storie; questa è la visione impura. Ma l’insegnamento Vajrayana non si presenta così. Dice che fin dall’inizio noi siamo questo Mandala, siamo già la divinità, e tutti i fenomeni sono già manifestazioni di divinità.

Come ci trasferiamo nella visione che presenta il Vajrayana? Abbiamo quella che è chiamata la via della trasformazione. Trasformazione significa che usiamo un simbolo della condizione reale, come i mandala, le divinità e così via. Poi il maestro ci fa l’introduzione in modo da mostrarci la nostra condizione reale e noi cerchiamo di applicarla e di trasformare la nostra situazione impura in quel simbolo. Questo, in genere, è l’insegnamento Vajrayana.

Insegnamento Dzogchen

Poi abbiamo l’insegnamento Dzogchen o Atiyoga, che presenta anch’esso una via di introduzione, con l’unica differenza che non ha bisogno di simboli, né mandala, né divinità perché va direttamente a quella che chiamiamo la radice o la fonte suprema, lo stato primordiale, le potenzialità primordiali. Come si relaziona lo Dzogchen con gli altri yana?

Nella tradizione Nyingmapa, la prima tradizione buddhista introdotta in Tibet, ci sono nove veicoli o sentieri, a partire da Sutra, Hinayana, Mahayana, poi Vajrayana con i tantra esterni e interni. Tuttavia, questi nove veicoli non sono in contraddizione tra loro perché ognuno è come una base per il successivo. Questo significa che mentre un praticante dell’insegnamento Hinayana segue quell’insegnamento, se è un praticante Mahayana dovrebbe, prima di tutto, conoscere bene il significato dell’insegnamento e della pratica Hinayana e poi integrarlo con il Mahayana. È lo stesso con i tantra. Se si è praticanti dei tantra esterni si dovrebbe già avere una base di Hinayana e Mahayana e in più avere anche conoscenza dei tantra esterni. Questo principio si applica soprattutto ai praticanti dei tantra interni di Vajrayana, Mahayoga, Anuyoga, che sono il sentiero della trasformazione.

Quando si raggiungie lo Dzogchen significa che tutto è incluso, dall’Hinayana fino all’ultimo veicolo. È tutto incluso nell’Atiyoga, infatti – a volte si fa questo esempio – la vista dello Dzogchen Atiyoga è come essere sulla cima di una montagna da dove si possono vedere molto chiaramente tutte le colline e i villaggi più in basso. Ma se si è alla base della montagna, in un piccolo villaggio o a metà strada, non si può vedere la cima della montagna. È importante capire che questo non vuol dire che l’insegnamento Dzogchen sia superiore agli altri e che abbia una visione settaria. Se siamo un maestro Dzogchen, o un praticante Dzogchen, allora sappiamo che Dzogchen è tutto: tutto il Buddhadharma è insegnamento Dzogchen nel suo significato ultimo. Tutti gli insegnamenti come Hinayana, Mayayana, i tantra esterni e interni, sono proprio come passi che conducono alla conoscenza dello Dzogchen. Quindi dobbiamo capire bene come dovremmo essere come praticanti Dzogchen.

Alcune persone hanno tanta fantasia e pensano che nell’insegnamento Dzogchen tutto sia molto libero, che siamo già illuminati fin dall’inizio e non abbiamo bisogno di fare nulla. Oppure, se dobbiamo fare qualcosa, non dovremmo seguire alcuna regola perché ciò è in contraddizione con l’insegnamento Dzogchen. Questo è un atteggiamento completamente sbagliato. Quando diciamo Dzogchen, usiamo la parola “autoliberazione”. Il vero senso di questo termine è che una volta scoperta la natura della mente, la sua reale condizione è qualcosa con cui non possiamo interferire, modificare o cambiare. Essa stessa ha questa qualità naturale. Qualità naturale significa che nella condizione dualistica, per lo più tutto è il risultato dei pensieri, della mente, del nostro pensare, quindi tutto ciò che abbiamo ora è come ghiaccio congelato. Ma la vera natura di questo ghiaccio è l’acqua. La natura dell’acqua è il fluire, quindi la natura della mente è fluire, i pensieri fluiscono e questa è una manifestazione della saggezza; non è sbagliato, non è negativo. Quando siamo a quel livello di pratica, tutti i pensieri, tutti i movimenti della mente sono chiamati saggezza auto-originata. Questo è il vero senso dell’autoliberazione.

Ma poi succede che a volte comprendiamo l’autoliberazione in modo sbagliato e pensiamo che significhi che dobbiamo liberare noi stessi, le emozioni, i pensieri, per poter fare quello che vogliamo senza trattenerci. Questo è causa di molti problemi.

Santi Maha Sangha

Questo ritiro è anche legato al Santi Maha Sangha perché il testo scritto da Padmasambhava [La Ghirlanda dei punti di vista] è come la struttura interna, il fondamento del libro della Base del Santi Maha Sangha. Quindi, giusto per fare una breve introduzione per le persone nuove che non sanno cosa sia il Santi Maha Sangha: “Santi Maha” nella lingua di Oddiyana significa Dzogchen; “Sangha” è comunità. Quindi il significato di Santi Maha Sangha è semplicemente Comunità Dzogchen.

Come è iniziata la formazione del Santi Maha Sangha? Prima di tutto c’era un testo radice del Santi Maha Sangha, che era come una poesia con molti versi. Che per quanto ricordo, Rinpoche scrisse spontaneamente, senza pensare.

Per chi non lo sapesse, Rinpoche era anche quello che si chiama un tertön, uno scopritore di terma o tesori testuali. Un terma è un insegnamento impartito nell’antichità da insegnanti come Padmasambhava, ma che non era appropriato per quel tempo. Il maestro che impartiva l’insegnamento pensava che sarebbe stato utile per le generazioni future e lo nascondeva da qualche parte, ad esempio nelle rocce, in un fiume, nel mare [ed .to be discovered in the future][ndr. Per riscoprirlo poi in futuro]. Questo è un terma di tipo materiale.

Altrimenti un insegnante come Padmasambhava, che aveva molti studenti buoni praticanti, avrebbe nascosto questo tipo di insegnamenti nella coscienza di un praticante. Dopo alcune vite, quel praticante sarebbe nato per esempio come Chögyal Namkhai Norbu. Poi, a volte, ci può essere un segno, come un sogno delle dakini, per dire che in un giorno particolare si dovrebbe andare in un luogo per ricevere quell’insegnamento. Altre volte questo tipo di indicazione non c’è, e senza alcun segno particolare qualcosa semplicemente appare nella mente di Rinpoche e lui la scrive. Questo è successo tante volte, non solo una.

Qualcuno potrebbe chiedersi come possiamo sapere che si tratti davvero di qualcosa di originale, di autentico; e non che l’abbia inventata lui. Una prova è che a volte abbiamo lo stesso terma, o un terma molto simile, scoperto da tertön diversi, anche a distanza di secoli.

Se per esempio guardiamo il terma di Mandarava, Rinpoche scrisse per la prima volta l’intero testo della pratica di Mandarava e ne diede copia a Fabio o Iacobella dicendo: “Conservatelo e non restituitelo finché non ve lo chiedo”.” Il giorno dopo lo riscrisse ed era completamente identico, tranne forse una frase. La stessa cosa, se ne leggete le storie, è accaduta molte volte con gli insegnamenti del Longsal. Rinpoche disse: “È come se avessi imparato a memoria il testo che era apparso nella mia mente”. Non lo aveva memorizzato, gli era semplicemente apparso.

Una volta gli chiesi personalmente come era l’esperienza del gongter [ndr. Tesoro della mente]. Mi rispose: “È come se avessi qualcosa nella mente. Posso accedervi quando voglio, ma dura poco e dopo solo due o tre giorni scompare completamente”.

Penso che il Santi Maha Sangha possa essere stato qualcosa di simile quando nel 1984 Rinpoche ne scrisse il testo. Ricordo che Giacomella lo tradusse e pubblicarono un opuscolo che presentava nove livelli, ciascun livello relativo a qualche insegnamento, ma non era molto chiaro, il testo era piuttosto difficile e rimase così per diversi anni.

Poi, nell’88, Rinpoche fece il famoso viaggio al Monte Kailash in cui io non andai. Durante il viaggio accaddero molte cose e le condizioni furono davvero difficili per le persone che viaggiavano con Rinpoche, perché la strada era bloccata e dovettero fare una lunga deviazione, con difficoltà per il cibo, per il sonno, per il viaggio. In genere, quando viaggiando si hanno difficoltà anche piccole, ci si stressa e si reagisce in modo diverso dal normale. In quel viaggio erano forse 60 o 70 persone che lottavano per tutto, perché la situazione era veramente dura. A un certo punto, qualcuno lottò fisicamente con un fratello del Vajra per un posto dove sedersi sull’autobus e dette un forte pugno a un altro praticante. Ma questa non fu l’unica cosa poiché le emozioni delle persone si manifestarono in modo libero e nudo.

Rinpoche fu piuttosto deluso dall’intera situazione. Tutti i suoi sentimenti e impressioni si possono leggere nel suo poema La voce dell’ape. La “voce” perché l’ape ronza sempre e si lamenta e Rinpoche si lamentava perciò ha usato quel titolo. E, penso che comunque anche lui possa essersi sentito responsabile della situazione perché come potevano gli studenti a cui aveva dato insegnamenti Dzogchen per più di dieci anni comportarsi in quel modo tra loro? E anche rispetto all’insegnante.

Un’altra storia che Rinpoche raccontò è che molte persone insistevano perché impartisse l’insegnamento del thögal. Nonostante avesse detto loro che non poteva dare quell’ insegnamento solo perché la strada era interrotta ed erano bloccati da qualche parte. Alcuni non furono soddisfatti e non rispettarono quanto Rinpoche aveva detto. Usarono una registrazione e qualcuno lesse un libro di istruzioni del thögal con un altoparlante sull’autobus. Quando Rinpoche sentì tutto questo, ovviamente, scrisse La voce dell’ape.

Successivamente andò in Cina per un anno, poi tornò in America. Un giorno parlandogli mi disse che secondo lui nella nostra comunità mancava qualcosa, come una base. Poi penso che fece un collegamento con il Santi Maha Sangha che aveva ricevuto anni prima, preparò e scrisse il libro base del Santi Maha Sangha chiamato Il Vaso Prezioso, una sorta di fondamento di tutti gli insegnamenti del Buddha che Inizia dagli insegnamenti basici del sutra, continua con il rifugio e il bodhicitta e su come lavorare con tutti questi passi della via.

Alcune persone potrebbero chiedersi come possa essere questo l’insegnamento Dzogchen dopo aver studiato per molti anni oltre il bene e il male, ora studiano le dieci azioni virtuose, le dieci azioni negative, cosa dovrebbero e cosa non dovrebbero fare. Questo mostra davvero come un insegnante Dzogchen dovrebbe lavorare con i suoi studenti perché, come abbiamo detto, gli insegnamenti Dzogchen comprendono tutto il buddhismo, a partire dagli insegnamenti più basici. Così Rinpoche ha iniziato dal livello della Base del Santi Maha Sangha con una citazione del grande Maestro Dzogchen, Longchenpa, che mostra quale dovrebbe essere l’atteggiamento di un praticante. Tutte le prime parti del testo si basano su questi insegnamenti. Rinpoche cercava di aiutare gli studenti a diventare più consapevoli della loro condizione perché a volte ci piace saltare su qualcosa che per la mente sia più facile da accettare.

Tre allenamenti

In genere non ci piace osservare la nostra condizione, i nostri difetti, i limiti. Giudichiamo sempre gli altri, osservando quanto sono limitati, cosa hanno fatto di sbagliato. Raramente pensiamo a cosa noi abbiamo fatto di sbagliato, a come dovremmo superare i nostri limiti. Di solito non abbiamo questo atteggiamento ed è fondamentalmente per questo che abbiamo bisogno degli insegnamenti del sutra. Ad esempio, in questi versi Longchenpa dice che, come base per la via, ci sono tre allenamenti. Prima di tutto, c’è la disciplina morale, che significa che siamo consapevoli della situazione nel samsara e comprendiamo anche come si sentono gli altri esseri e cerchiamo di agire in modo da non danneggiare o creare problemi agli altri. Lavorare a quel livello è l’Hinayana di base.

Nel Mahayana c’è la stessa disciplina morale ma, oltre a quello, cerchiamo di beneficiare o aiutare gli altri. Lo sappiamo fin dall’inizio perché seguiamo l’insegnamento del Buddha, anche se siamo praticanti Dzogchen. Ma se ci comportiamo in modo opposto significa che c’è qualcosa che non va, che non abbiamo capito, perché se litighiamo con un fratello del Vajra su un autobus o in un tempio, ovunque sia, significa che non controlliamo le emozioni. Questo dimostra che non abbiamo fatto il secondo allenamento, la meditazione. Se la nostra pratica o il nostro percorso spirituale rimane semplicemente al livello della conoscenza intellettuale, essa non può aiutare, quindi dobbiamo applicare il secondo addestramento, la meditazione o dhyana.

Come facciamo questo allenamento della mente? Innanzitutto osservando noi stessi scopriamo la condizione ordinaria della mente e di avere molti pensieri. A questo livello siamo tutti uguali. Cosa sono questi pensieri? Non sono nulla perché non possiamo definire, localizzare o identificare i pensieri come qualcosa di simile a sostanza. Ma esiste una certa identità, che chiamiamo coscienza di base, che ha sempre a che fare con i pensieri. Questi pensieri dovrebbero fluire in modo naturale, ma noi interferiamo sempre, ci attacchiamo a un pensiero, che dà origine a un secondo, a un terzo pensiero e così via, e poi questi pensieri si congelano e diventano qualcosa di concreto per noi. I pensieri sono anche collegati alle emozioni interne, quindi solitamente qualcosa ci piace, non ci piace o semplicemente ne siamo indifferenti. Alterniamo continuamente questi tre stati d’animo e agiamo in base ai pensieri, cercando di ottenere o di rifiutare qualcosa. Questa è la condizione ordinaria della mente.

Allenare la mente significa quindi scoprire quella condizione e attraverso la pratica dello shine or shamatha, prima di tutto, cercare di calmare la confusione dei pensieri. La pratica dello Shine significa lavorare con la fissazione o attraverso l’osservazione del respiro per calmare la mente. Il primo risultato è che ci identifichiamo meno con i pensieri. Quando viviamo la vita ordinaria, noi siamo i nostri pensieri; i pensieri sorgono e noi li seguiamo. Naturalmente, se siamo praticanti è diverso, perché, quando sorge, cerchiamo di osservare il pensiero. Quando facciamo un allenamento mentale Mahayana come lo Shine, questo prima di tutto calma la mente e poi ci permette di acquisire consapevolezza dei pensieri che sorgono e scompaiono, come una catena continua che sorge e sparisce. Una volta che riusciamo a calmare i pensieri, possiamo calmare anche le emozioni perché esse provengono dai pensieri.

Questo è quanto facciamo nella pratica della meditazione seduta ed è un punto molto importante. Se non applichiamo questo allenamento della mente, sarà molto difficile riuscire a raggiungere livelli di pratica più elevati. Per questo motivo può accadere facilmente che, anche se abbiamo una certa conoscenza dello stato dello Dzogchen, nella vita ordinaria le emozioni continuino a controllarci e a dominarci. Allora le cose diventano difficili da affrontare perché non abbiamo sviluppato quella capacità di base. Se non abbiamo questa capacità e ne siamo consapevoli, allora possiamo ancora applicarla di nuovo dall’inizio: facendo la fissazione insieme alla respirazione, calmando la mente e osservando i pensieri, fino all’ultimo respiro della nostra vita. Tutto quello che impariamo deve essere a nostro vantaggio.

L’insegnamento del Buddha è che possiamo diventare come Buddha e la base, prima di tutto, è di osservare la mente e lavorare gradualmente con essa. Quando ci alleniamo un po’, poi nella vita quotidiana possiamo avere più capacità. È come imparare a nuotare; impariamo nel mare calmo, o in piscina. Nessuno insegnerà a un bambino a nuotare quando il mare è agitato con grandi onde. Allo stesso modo, tutte le emozioni e i problemi sono come grandi onde, quindi se non abbiamo imparato i principi di base della pratica sarà molto difficile integrare direttamente quel tipo di situazione. Questo è un punto importante per tutti i praticanti ed è anche il secondo addestramento degli insegnamenti Mahayana.

Il terzo punto dell’allenamento Mahayana si chiama prajna, che può avere significati diversi a seconda del contesto. Ma in genere, nel Mahayana, prajna significa una vera conoscenza dei fenomeni legati per lo più alla comprensione della condizione del vuoto. Quando andiamo più in profondità nell’insegnamento Vajrayana, il vuoto è solo un aspetto, come una base. Possiede già la potenzialità di ciò che è chiamata mente luminosa ed è legata alla scoperta di quella condizione. Similmente negli insegnamenti dello Dzogchen Atiyoga, l’allenamento nella prajna significa il riconoscimento del reale stato primordiale. Inoltre, quando diciamo meditazione Shine e Lhagtong, prajna è legata al lhagtong, e lhagtong significa vera conoscenza o vera scoperta della propria natura. Come vedete, questi sono punti importanti per la nostra pratica e in genere per la nostra comunità Dzogchen.

Proseguimento dell’insegnamento

Fin dall’inizio abbiamo seguito l’insegnamento di Garab Dorje, il lignaggio buddhista dello Dzogchen. Garab Dorje ha detto: “Vi do l’introduzione diretta e quando la applicate, potete ottenere un risultato”. Anche se non è il risultato supremo, possiamo avere almeno una conoscenza e una realizzazione di base tali da poter trasmettere e anche aiutare altri. Altrimenti non dovremmo preoccuparci troppo, perché l’insegnamento ha i suoi protettori e la sua continuazione. Ci sono quelli che hanno a cuore la trasmissione dell’insegnamento, anche se non li vediamo.

Ognuno di noi, quindi, ha la grande responsabilità di applicare e praticare ciò che ha ricevuto dal Maestro. Questo è il nostro compito principale. Se riusciamo a farlo, allora c’è la garanzia che l’insegnamento continui. Ma questo non significa pensare che solo gli istruttori del Santi Maha Sangha siano la continuazione. Non è così e non dobbiamo limitarci così. Siamo tutti uguali. È solo che siamo diversi nel modo in cui abbiamo la capacità di applicare qualcosa. Tutte le persone, non importa se siano giovani o persone nuove, se hanno ricevuto insegnamenti da Rinpoche, sono tutte ugualmente importanti. Tutti nella Comunità Dzogchen sono estremamente importanti e preziosi.