cosa si può realizzare anche in tempi difficili

John Shane

Ho ancora la copia della sezione Magazine del quotidiano nazionale britannico Observer che acquistai all’aeroporto di Londra domenica 18 giugno 1978, mentre mi recavo a un ritiro con Chogyal Namkhai Norbu.

La rivista conteneva un lungo articolo riccamente illustrato dal titolo “Italy In Extremis” che descriveva in dettaglio i disordini politici nel Paese in cui mi stavo recando.

Quei turbolenti anni di sconvolgimenti politici in Italia divennero noti come gli “Anni di Piombo”.

Gli Anni di Piombo

Gli Anni di Piombo furono un periodo di tumulti sociali e politici in Italia che durò dal 1968 al 1988, caratterizzato da un’ondata di terrorismo politico sia di estrema sinistra che di estrema destra nel Paese che continuò fino alla metà del 1988, periodo in cui 428 persone vennero uccise nella violenza politica.

Gruppi di estrema sinistra come le Brigate Rosse comuniste e Potere Operaio anarchico e gruppi di estrema destra come Avanguardia Nazionale e Ordine Nuovo (sostenuti dalla società segreta di estrema destra Propaganda Due) si scontrarono nelle strade e compirono anche attacchi terroristici come attentati dinamitardi (rivolti contro edifici governativi, manifestazioni e abitazioni degli avversari o aree pubbliche) e omicidi (contro giudici, avvocati, poliziotti o militanti rivali).

Nel 2025, mentre in tutto il mondo stiamo vivendo tempi difficili, ricordo che, nonostante tutto ciò che stava accadendo – e stavano accadendo cose molto gravi – nei tempi difficili degli “anni di piombo”, siamo stati in grado, con il nostro maestro Chogyal Namkhai Norbu, di fondare Merigar.

Ero presente in Italia nei primi giorni di Merigar, durante quei tempi molto difficili degli Anni di Piombo, e ho molte storie personali da fare rizzare i capelli su episodi pericolosi che ho vissuto in prima persona nei primi giorni di Merigar come giovane straniero in Italia, che – sebbene non fossi, e non fossi mai stato, in alcun modo affiliato o associato a nessun gruppo politico di alcun tipo , ero considerato “sospetto” agli occhi delle autorità solo per il mio aspetto giovane e la mia appartenenza alla Comunità Dzogchen, un gruppo che all’epoca era considerato “al di fuori degli schemi” e quindi ufficialmente “sospetto”.

Avevo intenzione di scrivere un articolo per “The Mirror” su ciò che io e molti dei ‘pionieri’ di Merigar abbiamo vissuto al tempo della fondazione di Merigar durante gli ‘anni di piombo’, ma purtroppo sto avendo alcuni seri problemi di salute e non sono abbastanza in forma per farlo.

Cercherò di scrivere quell’articolo in futuro e di pubblicarlo su “The Mirror” o sul mio Substack, ma per ora, come promemoria di ciò che si può realizzare come comunità spirituale anche in tempi difficili, vorrei condividere con voi un articolo che ho scritto sui primi tempi di Merigar pubblicato nella newsletter “The Merigar Letter” nel 2011.

Siamo riusciti a raffinare l’oro puro dello studio e della pratica anche nei tempi difficili degli “anni di piombo” in Italia, quando abbiamo fondato Merigar, e possiamo fare lo stesso nei tempi difficili che stiamo affrontando oggi in tante parti del mondo.

J.S.

(Se non l’avete ancora fatto, date un’occhiata al lavoro che ho pubblicato su Substack all’indirizzo https://johnshanewayofthepoet.substack.com e, se vi piace, mi farebbe molto piacere se sosteneste il mio lavoro iscrivendovi alla mia newsletter. Grazie).

La copertina dell’edizione della sezione Magazine del quotidiano nazionale britannico Observer che ho acquistato all’aeroporto di Londra domenica 18 giugno 1978, mentre volavo in Italia per incontrare Chogyal Namkhai Norbu in Toscana.
Un’altra pagina dell’articolo dell’Observer Magazine.

Arcobaleno Sulla Montagna di Fuoco: I Primi Giorni Di Merigar.

di John Shane

Articolo pubblicato nella newsletter Merigar Letter nel 2011.

“Podere Nuovo”, il casale che nel 1981 è diventata Merigar, visto subito dopo essere stato acquistato dalla Comunità Dzogchen. Foto: 1981 John Shane.

Nel 1981, forse l’ultima cosa che gli abitanti del paese di Arcidosso avrebbero immaginato che potesse accadere era che il Tibet arrivasse alle loro porte.

Eppure era proprio quello che stava per succedere.

A quei tempi, quasi nessuno nella Toscana rurale pensava alla lontana e quasi mitica “Terra delle Nevi” rimasta chiusa dietro l’alto Himalaya per tanti secoli.

Gli italiani, in ogni caso, erano all’epoca preoccupati da problemi molto più vicini a caso loro.

Il giorno del 1981 in cui partii da Londra per Pisa per vedere il terreno che sarebbe diventato Merigar, poche settimane dopo la firma del contratto per il suo acquisto, comprai “Time” e “Newsweek” in un’edicola mentre mi recavo al banco del check-in dell’aeroporto e vidi che gli articoli di copertina di entrambe le riviste riguardavano le ultime attività delle Brigate Rosse che stavano terrorizzando il Paese, con foto raccapriccianti di edifici bombardati e corpi crivellati di proiettili in varie città italiane. Insieme ai problemi causati dalla criminalità organizzata e alle ricorrenti difficoltà economiche dell’Italia, il tema principale dei titoli dei giornali era il tumulto politico che imperversava nel Paese.

Nel mezzo delle continue crisi nazionali dell’epoca, Chögyal Namkhai Norbu Rinpoche, che all’epoca era professore di lingua e cultura tibetana e mongola all’Istituto Orientale dell’Università di Napoli, era alla ricerca di un luogo che potesse fungere da base per la crescente comunità di persone provenienti da tutto il mondo che lo avevano cercato, sperando di ricevere da lui insegnamenti spirituali.

Se Norbu – come allora ci permetteva di chiamarlo, usando il suo nome di battesimo – era stato riluttante ad assumere il ruolo di maestro spirituale, preferendo rimanere una persona riservata che si dedicava alla sua vita familiare, era ancora più riluttante a fondare il genere di Centri che vedeva sorgere attorno ad altri lama tibetani. «Il vero principio degli Insegnamenti si trova nell’individuo», diceva, «l’individuo è il vero Centro».

Eppure, la qualità del suo insegnamento e la sua crescente reputazione erano tali che le persone continuavano a cercarlo, e man mano che il loro numero cresceva, si rese conto che la pressione su di lui e sulla sua famiglia, così come le esigenze degli studenti, gli richiedavano di agire.

Consapevole della tendenza delle istituzioni religiose formali a svilupparsi in modi che possono oscurare e contraddire il loro messaggio essenziale, era istintivamente diffidente nei confronti della formazione di qualsiasi tipo di organizzazione.

Così, durante i primi anni in cui insegnava, tutti i ritiri in cui insegnava si tenevano in una varietà di luoghi improvvisati, come hotel fuori stagione, resort occupati per alcune settimane e, in un’occasione, in una grande cascina in rovina senza finestre né porte nelle montagne del nord Italia, sito abbastanza appropriato per insegnarci la morte e il morire. I suoi studenti si abituarono a seguirlo di luogo in luogo come nomadi, preparando tutto per la durata del ritiro e poi smontando tutto, prima di passare al luogo successivo.

Forse solo quando sentì che alcuni dei suoi studenti avevano quindi compreso che l’essenza degli insegnamenti spirituali che stava trasmettendo non doveva essere confusa con gli ornamenti della cultura o con la struttura di un’organizzazione, sentì di poter affrontare la sfida dell’acquisto di un luogo tutto nostro come base per gli insegnamenti. Ma in ogni caso, quando, dopo molte ricerche, finalmente trovò un luogo adatto sul Monte Amiata, proprio per ricordare ai suoi studenti di non dimenticare perché era stato riluttante a permettere la creazione di Centri intorno al suo insegnamento, lo chiamò “Gar”, che in tibetano significa accampamento nomade – in questo caso “Merigar”, l’accampamento della montagna di fuoco, essendo il Monte Amiata un vulcano spento.

Rinpoche ha recentemente affermato: “Non ho mai avuto un piano su come procedere… Ho sempre lavorato con le circostanze man mano che si presentavano”.

Quando parliamo degli insegnamenti Dzogchen, stiamo parlando, dopo tutto, di un insegnamento che insiste sul fatto che si vive nel momento presente, che è tutto ciò che possiamo conoscere. Il passato è, ovviamente, finito e non tornerà mai più, e il futuro non esiste ancora.

Un maestro come Chögyal Namkhai Norbu rimane sempre presente, senza distrazioni, e la sua presenza incondizionata gli ha permesso di rispondere con straordinaria precisione alle sfide dello sviluppo della sua comunità in tutto il mondo, superando grandi difficoltà con notevole chiarezza, pazienza e perseveranza.

Quando arrivai all’aeroporto di Pisa quel giorno del 1981, noleggiai un’auto e mi recai per la prima volta ad Arcidosso. Dopo aver dato un’occhiata alla città, trovai una camera all’Hotel Giardino e convinsi l’agente immobiliare locale che si era occupato dell’acquisto della proprietà per la Comunità ad accompagnarmi su per la montagna per mostrarmi la casa e il terreno che avevamo appena acquistato.

Era una giornata nuvolosa e basse nuvole incombevano sul Monte Amiata. Quando arrivammo alla fine di una lunga strada sterrata, ci trovammo davanti un cancello chiuso e parcheggiammo le auto. Scavalcai il cancello e, girando l’angolo, vidi in lontananza quello che sembrava un casale in rovina.

In quel momento è spuntato il sole e si è formato un enorme arcobaleno che andava da un orizzonte all’altro e, contemporaneamente, un gregge di caprette è uscito di corsa dall’edificio e ha cominciato a correre lungo il sentiero verso di me.

Ho tirato fuori la macchina fotografica per immortalare quel momento e conservo ancora quella foto.

Ma, naturalmente, oltre ad essere un simbolo di circostanze propizie, l’arcobaleno è anche un simbolo della natura illusoria di tutto ciò che si manifesta, e da allora non l’ho mai dimenticato quando sono a Merigar.

Per quanto solidi possano sembrare, anche il Monte Amiata e Merigar, da un punto di vista ultimo, sono reali solo quanto un’apparizione in un sogno.

Eppure il sogno sorge, come un arcobaleno, illusorio ma apparente, prodotto del gioco di cause e condizioni impermanenti, senza una natura intrinseca.

E nel sogno delle nostre vite agiamo per raggiungere i nostri obiettivi, anche se siamo consapevoli che la loro natura è, da un punto di vista assoluto, illusoria.

Sono sempre stupito dal coraggio di Rinpoche: con pochissime risorse finanziarie – gran parte delle quali provenienti dai suoi risparmi personali – e con solo un gruppo di giovani più ricchi di entusiasmo che di esperienza, ha acquistato un casale in rovina su un remoto versante montuoso della Toscana e ha proceduto a trasformarlo in un importante centro per la conservazione dell’essenza degli insegnamenti del buddhismo tibetano e della cultura tibetana.

Insieme a un piccolo gruppo di persone provenienti da vari paesi del mondo, mi sono trasferito in Toscana nel 1981 per aiutare a fondare Merigar. Se ora mi chiedo cosa mai abbiano pensato di noi gli abitanti dei paesi vicini all’epoca, so che per loro era una situazione confusa.

Eravamo giovani, avevamo i capelli lunghi, indossavamo abiti strani, la maggior parte di noi era straniera e parlava poco o male l’italiano, e non avevamo mezzi di sostentamento visibili.

Eppure la gente del posto ci ha accolto nelle loro case, nei loro ristoranti, nei loro negozi e nei loro uffici con una cordialità che rende onore alla grande tradizione di ospitalità della regione, e per questo sarò sempre profondamente grato a loro.

In un modo o nell’altro, nel mezzo delle confusioni politiche dell’Italia di allora, quando la laboriosa popolazione della regione dell’Amiata vedeva ogni giorno al telegiornale i servizi sui giovani che stavano perdendo la testa a causa di dogmi ideologici che li portavano a commettere atti di violenza contro lo Stato, c’era ancora abbastanza fiducia nei cuori della gente del posto per accoglierci, per quanto strani potessimo sembrare loro, noi e ciò che stavamo facendo sul Monte Amiata.

All’inizio vivevamo tutti insieme nella stessa casa con Rinpoche. Non c’era altro posto dove dormire. Nelle stanze principali del primo piano di quello che ora è il Serkhang, o Casa Dorata, Rinpoche aveva l’unico letto, mentre noi dormivamo sul pavimento, come bruchi, nei nostri sacchi a pelo. Non c’era elettricità, né telefono, né acqua corrente. Non avevamo servizi igienici interni.

Avevamo pochissimi capitali, quindi dovevamo cercare di fare tutto da soli, invece di assumere costruttori professionisti. Tutti lavoravano e Rinpoche stesso era in prima linea come sempre, lavorando più duramente di tutti gli altri.

Ho lavorato fianco a fianco con Rinpoche scavando nelle stalle che ora sono il negozio e la cucina di Merigar. Gli portavo carriole di cemento mentre costruiva il muro di contenimento dietro la casa che impedisce al pendio di franare.

All’inizio, quando stavamo sistemando la casa, tutti lavoravano, mangiavano e dormivano insieme nella stessa grande stanza open space al piano superiore, e tutti giocavano insieme. C’erano risate infinite.

Rinpoche ci ha insegnato molte cose durante le sessioni formali dei ritiri che si svolgevano a intervalli regolari, ma abbiamo imparato tantissimo semplicemente vivendo con lui, semplicemente stando con lui. Abbiamo praticato molto, abbiamo lavorato sodo e ci siamo divertiti tantissimo.

Naturalmente ci sono state molte difficoltà, ma Rinpoche non sembrava mai scoraggiarsi.

Ho un’immagine indelebile di lui seduto in giardino con un gruppo di studenti intorno a lui che giocava a un gioco da tavolo con uno studente alla volta. Ogni studente, a turno, cercava di battere Rinpoche, ma lui vinceva sempre. Per quanto ci provassimo, nessuno riusciva a batterlo. Dopo un po’, questo non era più molto divertente per Rinpoche. Così ha iniziato a giocare con una sola persona e, come al solito, ha vinto. Ma poi ha girato il piano di gioco e, assumendo la posizione perdente del suo avversario, ha iniziato a contrattaccare, fino a quando non ha nuovamente eliminato tutte le pedine del suo avversario dal piano di gioco e ha vinto ancora una volta. Poi capovolse di nuovo il tavoliere, riprese la posizione perdente e ancora una volta la trasformò in una posizione vincente, ripetendo questo gioco più e più volte, con grande stupore e divertimento di tutti.

Lo stesso valeva quando incontravamo difficoltà con le domande di concessione edilizia, i prestiti bancari o le persone che in un modo o nell’altro ci deludevano: una volta che aveva deciso di fare qualcosa, Rinpoche non si arrendeva mai.

Qualcosa di questo deve aver contagiato anche noi. Noi, suoi studenti, abbiamo imparato dal suo esempio e siamo diventati più forti nelle nostre vite. La Comunità Dzogchen si è sviluppata e, col tempo, sono stati fondati altri centri in tutto il mondo. Ma Rinpoche ha sempre definito Merigar “l’ombelico”, nel senso che è dall’ombelico, dove si collega il cordone ombelicale, che un bambino si sviluppa nel grembo materno.

Proprio come la mia esperienza a Merigar è iniziata con un arcobaleno apparso dal nulla, così queste parole sono apparse sullo schermo del mio computer come l’impronta dei pensieri che mi attraversavano la mente, e ora viaggeranno come bit e byte digitali via wi-fi e cavi da un paese all’altro fino a un altro computer, da cui saranno stampate e riassemblate come parole su carta che leggerete per creare immagini nella vostra mente dei primi giorni di Merigar.

La mia speranza è che questo articolo aiuti coloro che visitano Merigar per la prima volta a comprendere le condizioni in cui è nata e aiuti anche noi che siamo responsabili di Merigar a ricordarci di continuare a mantenerla nello spirito che, tanti anni fa, il suo fondatore l’aveva intesa.

John Shane©2011

John Shane è l’editore di “The Crystal And The Way Of Light: Sutra, Tantra, And Dzogchen”, un libro sugli insegnamenti Dzogchen di Chogyal Namkhai Norbu, pubblicato da Snowlion Publications.

Nella foto sopra potete vedere John Shane il primo giorno in cui ha messo piede sul terreno che sarebbe diventato “Merigar”, con una delle 17 capre che vivevano lì. Sullo sfondo potete vedere il vecchio casale che in seguito sarebbe diventato la “Casa Gialla”. Notate l’assenza di alberi sul pendio della collina prima che piantassimo tutti gli alberi che vedete oggi. Foto: John Shane.
Vista dell’edificio in rovina che sarebbe diventato la Casa Gialla. Noi che lavoravamo a Merigar all’epoca vivevamo nella casa mentre gran parte dell’edificio era senza tetto. Foto di John Shane.
Norbu Rinpoche mentre gioca ad uno dei suoi giochi preferiti con i membri della comunità nel cortile di Merigar. Notate ancora una volta la totale assenza di alberi e vegetazione. Foto di John Shane.
Il gruppo di lavoro riposa fuori dalla casa di Merigar. Foto di John Shane.
I primi giorni a Merigar con Chögyal Namkhai Norbu a destra, al centro Roberto Curtis e Giovanni Arca a sinistra. Foto: John Shane
È stato costruito un nuovo tetto sulla Casa Gialla. Foto di John Shane.
Un’altra foto del nuovo tetto della Casa Gialla. Foto: John Shane.
I lavori alla Casa Gialla iniziano a dare i loro frutti. Foto: John Shane.
Murale in ceramica di un Gakyil sulla parete della Casa Gialla. Foto: John Shane.