Sono nata a Leningrado, dove ho frequentato le scuole superiori per poi laurearmi alla Facoltà di Arti e Grafica dell’Università Pedagogica. Così la mia formazione iniziale mi qualificava come insegnante di disegno.

Sognavo di diventare un’artista, mi interessava il Buddhismo e sin dai tempi della scuola ho letto tutto quello che ai tempi dei Soviet si poteva reperire riguardo alle pratiche spirituali. Ero in seconda media quando mi capitò fra le mani un libro samizdat (pubblicazione clandestina all’epoca dei Soviet, nde). Iniziai a praticare hatha yoga e mi innamorai subito di quella disciplina. Tempo dopo, lessi che nel nostro paese si erano preservate piccole enclave di Buddhismo in Buriazia e così, nel 1985, partii per il monastero universitario di Ivolginsky vicino a Ulan-Ude, dove venni in contatto con una tradizione spirituale buddhista.

L’incontro con il Dharma. La Buriazia

Il mio primo maestro fu il monaco più anziano del monastero, che veniva rispettosamente chiamato “nonno Dharma Dodi”. Era uno dei pochi lama sopravvissuti alla Rivoluzione di Ottobre, aveva superato tutte le persecuzioni e la repressione. Aveva studiato prima della Rivoluzione e, guarda caso, aveva passato molti anni nei campi di concentramento di Stalin lungo la Kolyma (fiume siberiano ndt) e pertanto conosceva molto bene la lingua e la cultura russe. Da lui ricevetti la trasmissione orale di insegnamenti. Iniziai subito a praticare.

Quando vidi le thangka della Buriazia venni folgorata perché quando sei di fronte a una thangka perdi l’interesse verso ogni altra arte. Quando studiavo all’istituto d’arte volevo dipingere di tutto, ritratti, nature morte e molte altre cose, ma una volta vista una thangka non volevo più fare altro. Era l’arte suprema, l’arte del Dharma, che supera qualsiasi cosa.

Tara bianca dipinta da Larisa

In un primo momento cercai di copiare alcune thangka, ricavandole dai libri che ero riuscita a ottenere a quel tempo, vecchie edizioni buriate con immagini in bianco e nero. Pensavo fosse semplice, perché sono un’artista e così mi basta fare una copia con la carta da lucido. Ma mi trovai di fronte al fatto che era impossibile fare così, senza conoscere la tecnica. Si può fare un disegno basato su Tara Verde, ma non sarà una thangka. Scoprii che le thangka hanno un fascino e una energia speciali, ma riuscire a cogliere quella qualità è molto difficile. Quando uno vede una vera thangka ne resta affascinato ed è preso da un forte desiderio di farne una uguale per la propria pratica personale.

Capii che per padroneggiare l’arte della thangka occorreva studiare seriamente ma in Buriazia, alla fine degli anni ’80, non era possibile farlo e non c’era nessuno da cui imparare, sebbene ora, dopo molti anni, ho scoperto che c’era un artista eccezionale chiamato Danzan Dondokov, con sua figlia Lyuba Dondokova che ne aveva adottato lo stile.

Il Dharma nell’Unione Sovietica

Il primo lama a mettere piede nell’URSS fu Bakula Rinpoche dal Ladakh, nel nord dell’India. Era giunto a Mosca nel 1989 quale ambasciatore indiano per la Mongolia. A quel tempo l’Unione Sovietica aveva una relazione delle più cordiali con la Mongolia. Le sue lezioni erano in un certo senso segrete e gli interessati al Buddhismo ne erano informati con il passaparola. Gli insegnamenti avevano luogo nella biblioteca (della sua residenza) ed erano una boccata di vero Dharma.

Poi, nel 1990-1991, la tradizione karma kagyu arrivò in Russia dalla Polonia portata dal monaco Rinchen che insegnò il ngondro, poi ci furono Ole Nydahl e sua moglie Hannah, il loro prima maestro Tsechu Rinpoche, detto “il lama trasparente” e il monaco Kalsang.

L’incontro con Namkhai Norbu Rinpoche

Rinpoche arriva a Datsan, St. Pietroburgo, 1992

Anni dopo, nel 1992, Namkhai Norbu venne nella mia città nativa di San Pietroburgo (prima Leningrado). Presi la metropolitana, andai al datsan dove si tenevano i primi due incontri e vidi Rinpoche per la prima volta. Fu meraviglioso. Rinpoche era arrivato con un’automobile modestissima per gli standard odierni, una Moskvich-411. Era vestito all’europea, un poco sportivo, non come un lama. Teneva una lezione su un tema difficile riguardante i nove veicoli nella tradizione nyingma. Ero seduta e ascoltavo come in preda a un incantesimo. Nello stesso tempo realizzai che non conoscevo neanche un terzo delle parole che lui pronunciava, ma decisi di impararle dopo.

Quell’anno si erano tenuti ritiri di Rinpoche a Vilnius, Leningrado, Mosca e Ulan-Ude. Rinpoche era arrivato in Russia con una quindicina di suoi discepoli. Era giugno, il datsan aveva spesse pareti di pietra e dentro faceva freddo. Apparentemente, i discepoli più stretti di Rinpoche conoscevano i nove veicoli della tradizione nyingma e così, avvolti in coperte, si erano addormentati. A un certo punto successe una cosa buffa: Rinpoche gridò un assordante “Padmasambhava!” e tutti, colti di sorpresa, sbucarono da sotto le coperte in cui erano avvolti. Non so perché ma ricordo quel momento molto bene. Per me quella lezione non era noiosa, era un po’ stressante perché non comprendevo alcune parole ma cercai strenuamente di seguire.

Alla fine vi fu un altro episodio divertente. Dopo la lezione, le persone iniziarono ad andare da Rinpoche e parlargli di questioni personali. Fra di loro vi era un tipo che chiedeva incessantemente: “Ancora non capisco: come è riuscito Milarepa a nascondersi nel corno di uno yak?”. E ripeteva: “Per favore spiegamelo, come è accaduto? Certamente Milarepa non poteva entrare in un corno!”. Rinpoche si mise a ridere come se gli avessero fatto il solletico e la sua risata risuonò in tutto il datsan. Più Rinpoche rideva e più il tipo insisteva a chiedere.

Il giorno successivo la lezione continuò, ma il terzo giorno ci spostammo in un edificio scolastico in una zona remota di San Pietroburgo. Ulteriori insegnamenti si svolsero nella palestra della scuola e tutto fu semplicemente magico. C’era abbastanza spazio per aprire il mandala e lì vidi per la prima volta la Danza del Vajra. Solo pochi studenti di Rinpoche sapevano danzare, ma molti cercavano di ripetere qualche movimento, in piedi attorno al mandala.

Le circostanze si manifestarono in modo tale che riuscii a recarmi di nuovo, facilmente e senza ostacoli, in Buriazia e dopo un paio di settimane andai a un ritiro non lontano da Ulan-Ude sul lago Kotokel. Al secondo ritiro, gli insegnamenti di Rinpoche vennero percepiti più intensamente, in modo più preciso e, per quanto mi riguarda, con più consapevolezza.

Larisa regala a Rinpoche un cappello di pelliccia fatto a mano durante il ritiro a Balaschikha, vicino Mosca, 1996

Dopo il ritiro andai a vivere per un certo tempo a Vladivostok, nell’estremo oriente della Russia, dove avevamo creato una Comunità Dzogchen locale. C’erano diverse persone che avevano ricevuto la trasmissione e così si era formato un piccolo gruppo che studiava le pratiche e faceva un ritiro dopo l’altro. Posso dire che non mi accorsi degli “impegnativi” anni ’90 (il difficile periodo seguito al collasso dell’Unione Sovietica, caratterizzato da parecchia instabilità, criminalità, povertà e così via – nde). Il mio tempo era totalmente preso dalla pratica, dai ritiri e dalla loro organizzazione. Nel giugno del 1993 facemmo un ritiro sul chöd sulle montagne Sanyan nella Buriazia e, in generale, per un anno studiammo e tenemmo ritiri su tutte le pratiche trasmesse da Rinpoche.

Thangka. La formazione

Nel 1994 venne a San Pietroburgo, invitata dal centro karma kagyu, Mariana van der Horst, artista pittrice di thangka. Ebbi la fortuna di poter studiare con lei e nello stesso tempo di tradurre quel ritiro. Le lezioni durarono circa dieci giorni, dopo di che presi la ferma decisione di andare a studiare in India. Studiare con Mariana era splendido e più avanti tradussi molti dei suoi ritiri fra il 1994 e il 2015, sino quando smise di viaggiare a causa del covid. Ma in quel momento compresi che era necessario studiare a lungo, seriamente e approfonditamente, così decisi di andare a cercare un maestro in India.

Kurukulla, dipinto da Larisa

Mi ero preparata per partire, ma nel 1994 in India scoppiò una epidemia di colera, vennero imposte restrizioni e alla fine non andai da nessuna parte. Nel 1995 ebbi la notizia che ci sarebbe stato esame e ritiro del Santi Maha Sangha e, dal momento che questo era per me prioritario, il viaggio venne di nuovo rinviato.

Nel 1996 si tenne a Zhukvka, vicino a Mosca, nella residenza dell’ex segretario generale della Mongolia, un ritiro sul primo livello del Santi Maha Sangha. Fu un ritiro meraviglioso con circa un centinaio di partecipanti, persone che avevano appena passato l’esame e alcuni degli studenti più vicini a Rinpoche, come Fabio. In tale occasione riuscii ad andare a Mosca e a comprare un biglietto andata e ritorno per Delhi valido un anno.

Nel 1996 volai in India. Grazie alle eccezionali benedizioni di Namkhai Norbu Rinpoche, le circostanze si dispiegarono magicamente. Ma oltre ad andare in India, dovevo trovare un maestro. Conoscevo solo l’inglese e che l’India era un paese del terzo mondo, come diceva la gente, non sapevo altro.

India. Amore senza fine

Un’onda di benedizioni mi condusse subito all’iniziazione di Kalachakra conferita da Sua Santità il Dalai Lama al monastero Tabo, nella valle Spiti nel nord dell’India. Da quel momento in poi, tutto iniziò ad avere il suo corso. Dopo poco tempo a Manali, nell’Himachal Pradesh, incontrai il mio maestro Ngawang Dorje, direttore della locale scuola popolare di pittura delle thangka della regione himalayana dell’India, chiamata “Dipingere secondo lo stile gompa”.

Insieme al suo maestro di pittura, Ngawang Dorje

Ngawang Dorje aveva ricevuto l’educazione tradizionale come lama al monastero Kundeling di Lhasa, dove era stato mandato all’età di sei anni. Lì era anche diventato un pittore di thangka di stile gadri. Nei primi anni ’50 era andato in India a piedi e aveva preso la cittadinanza indiana. Mi disse che avrei potuto prendere lezioni da lui sino per tutto il tempo che volevo e così studiai con lui per tre anni, dal 1996 al 2000, lasciando periodicamente l’India per avere un nuovo visto. La cosa più facile era andare nel vicino Nepal e, grazie a questo, incontrai molti splendidi maestri e fui in grado di fare ritiri in luoghi sacri permeati dalle benedizioni del Dharma.

Kunsangar. Ritorno in India

Nel 2001 terminai una thangka di Mandarava e andai a un ritiro a Kunsangar. La thangka rimase appesa dietro a Rinpoche per tutto il ritiro. Alla fine venni scelta per far parte del gakyil di Kunsangar, così sino 2003 vissi e lavorai al Gar, dedicando tutto il mio tempo libero alla pittura. In quel periodo dipinsi la thangka di Tara Verde che offrii a Rinpoche durante il ritiro di Tara Verde. In seguito Rinpoche la donò a Kunsagar Sud.

Thangka di Mandarava dipinto da Larisa

Dopo il 2003 tornai in India per vedere Ngawang Dorje appena possibile. Inoltre, iniziai a organizzare pellegrinaggi nel luoghi sacri dell’India e del Nepal. Come conseguenza, sino al 2020 vissi per la maggior parte del tempo in India. In particolare, mi interessavano i “luoghi di potere” associati alla pratica, secondo il nostro lignaggio. Per quasi vent’anni ho organizzato e guidato molti viaggi creativi e pellegrinaggi, sempre collegandoli all’insegnamento. Particolarmente memorabili furono i due ritiri di pratica di Mandarava con la Comunità Dzogchen, alla grotta di Maratika in Nepal, nel 2017 e 2018. Il secondo viaggio coincise con il periodo che seguì la dipartita di Rinpoche e dedicammo un ritiro alla sua memoria, consacrando là tutti assieme la thangka di Mandarava.

Creare una thangka. La tecnica

Quando creo una thangka, a volte mi prende un’ispirazione improvvisa e immediatamente mi metto al lavoro. Quando mi ordinano una thangka, pianifico il mio tempo ed eseguo l’ordine, ad esempio, in inverno. Tutto è fatto lentamente e senza fretta.

La thangka è realizzata con una tecnica molto precisa, sviluppata nei secoli. Tradizionalmente si usano colori ottenuti dalla macinatura di minerali, dato che conferiscono una bella superficie vellutata. Sono i colori dello spettro che veicolano l’energia pura degli elementi primordiali.

Per prima cosa la tela viene ben tesa, poi preparata e lucidata, pulita. Poi si fa il disegno su cui si applicano i colori e, nei punti in cui si deve passare da un colore saturo a un più leggero, si sfuma. La colla agisce da elemento legante; sul fondo di colla, si applica una patina di gesso o argilla. Anche i colori vengono mescolati con la base collosa e, una volta applicati, diventano parte della tela, un tutt’uno con essa. Ora è il momento delle pennellate. Ogni dettaglio è dipinto con un pennello sottile tracciando linee morbide premendo. Alla fine, si applica polvere d’oro grezzo e poi il tutto viene lucidato con un pezzetto di pietra preziosa. A volta con la lucidatura si applica un disegno. La maggiore o minore durezza della pietra, ad esempio la giada o l’ametista, fa la differenza nell’intensità della brillantezza.

Riflessi in uno specchio

Una thankga rappresenta la dimensione ideale, la pura terra di Buddha. La superficie della thangka è chiamata “specchio”, o melong in tibetano. Gli elementi del paesaggio sono collocati secondo l’arte di disporre lo spazio circostante – la geomanzia tibetana o sache.

Ci sono tecniche speciali quando una thangka è disegnata in oro su un fondo rosso – martan, o su fondo nero – nagtan o su fondo oro con disegno rosso – sertan. Queste sono associate alle visioni del momento della morte e una tale thangka è una causa per la liberazione post-mortem.

Thangka di Manjushri con la tecnica sertan dipinta da Larisa

La thankga trasmette non verbalmente la sadhana della meditazione. Descrive in modo completo la divinità, il suo stato, le sue qualità, veicolandone l’energia mediante la pittura. Una thangka serve come supporto per la pratica e aiuta a realizzare le due accumulazioni di meriti e saggezza. Una buona thankga lascia una forte impronta nella mente, quindi serve anche come causa per la liberazione. Inoltre, può essere usata per un rituale magico. Se uno deve fare una certa azione, ottenere quello che si desidera, uno dei metodi è ordinare una thangka. Ad esempio, per aiutare un malato a guarire velocemente, tradizionalmente si ordina una thangka delle divinità della lunga vita, ad esempio Tara Bianca. So che quel monastero (dove ho studiato) aveva ordinato una thangka al mio maestro Ngawang Dorje per trovare la reincarnazione del loro tutore.

Il rituale di consacrazione di una thangka (ramne)

Se possibile, è meglio potenziare e siglare la thangka con un lama. Quando potenzio da me una thangka, faccio una ganapuja e poi nei punti corrispondenti ai chakra scrivo le sillabe seme sul retro con simdhura rossa o oro.

Lezioni pratiche di pittura d thangka

Per diversi anni ho tenuto a Kunsangar Nord ritiri sulle thangka buddhiste. In genere si tenevano il venerdì e nel weekend, dopo di che i partecipanti facevano i loro compiti a casa per quattro giorni e il weekend successivo ci incontravamo ancora. Spero che in futuro continueremo le nostre lezioni!

Per contattare Larisa:
Whatsapp: +7 911 725 95 30
Email: [email protected]