Adriana Dal Borgo a Venezia, 2020

Questo articolo è stato ideato e scritto come contributo al progetto dell’associazione tenera mente – onlus, Montessori ed oltre, un’opera in due volumi che raccoglie saggi di docenti universitari e testimonianze di esperti sulle loro esperienze nelle discipline che non esistevano o non si erano affermate ai tempi della Montessori.

Quando Enrica Baldi, fondatrice dell’associazione Tenera-mente, nonché allieva di Chögyal Namkhai Norbu e cara amica, mi ha contattato per invitarmi a partecipare al progetto come ‘esperta’ di danze, ho accettato con entusiasmo. Ho pensato che sarebbe stata un’ottima occasione per ripensare agli Insegnamenti della Danza del Vajra e delle Danze Gioiose Khaita di Rinpoche da una prospettiva educativa e anche per riflettere su come presentarli a un pubblico al di fuori della Comunità Dzogchen, con un linguaggio semplice e non autoreferenziale. L’articolo, pubblicato nel Vol. 2 del testo, è il risultato di queste riflessioni.

Articolo scritto da Adriana Dal Borgo per il libro Con Montessori ed oltre, Vol.2′, pubblicato da TAB Edizioni

Tradotto in inglese da Miranda Shannon

1. La cultura tibetana: una visione dell’uomo e del mondo

Il pensiero dell’oriente porta con sé un alone di mistero, di magia, come un bauletto pieno di tesori nascosti pronto per essere scoperto, ed è accompagnato da ricordi di fiabe ed echi di viaggi avventurosi, profumi di spezie, sete colorate.

Accantonate fantasie e proiezioni personali, l’oriente è stato la culla e sorgente di antiche civiltà la cui conoscenza è arrivata fino a noi solo negli ultimi due secoli. Una di queste, la civiltà dell’altopiano tibetano, chiamato il “Tetto del mondo” per la straordinaria altezza delle sue montagne, proprio per le condizioni geografiche particolari è rimasta invece remota e inaccessibile fino a poche decine di anni fa.

Essendo stata isolata per millenni, la profonda conoscenza sviluppata in molti campi del sapere è rimasta inalterata. Oggi, che abbiamo possibilità di accedervi, abbiamo quindi la rara opportunità di conoscere un’antica cultura nella sua forma originale.

Le vicende politiche del secolo scorso hanno, infatti, obbligato la popolazione a uscire dai propri confini, favorendo l’apertura e la condivisione delle sue conoscenze.

Oltre a essere molto antica, la cultura dell’altopiano tibetano copre vasti campi del sapere umano raggruppati tradizionalmente nel corpus di 10 scienze, divise in cinque scienze maggiori e cinque minori. Le scienze maggiori sono arte e artigianato, medicina, linguistica, logica, dottrine spirituali. Le cinque scienze minori sono astrologia, poetica, retorica, etimologia, drammaturgia. (Namkhai Norbu: “The Light of Kailash”, Vol.III, Shang Shung Publication, 2015).

Questi diversi settori ci propongono una comprensione particolare dell’uomo, mai come individuo separato ma sempre in relazione al suo ambiente, all’universo, al divino. La medicina per esempio considera salute e malattia il risultato del rapporto dell’uomo con il suo ambiente fisico e dell’equilibrio degli elementi che costituiscono entrambi: aria, terra, fuoco, acqua, spazio.

Anche l’astrologia ha una visione globale e considera le caratteristiche dell’individuo come il frutto dell’interazione di diverse forze (i cinque elementi, le caratteristiche dell’anno, del mese e del giorno; le sinergie al momento della nascita fra aspetti diversi dell’individuo: il corpo, la capacità, la fortuna e la forza protettiva). Per l’astrologia tibetana le caratteristiche dell’individuo sono legate alle sue azioni e al suo comportamento nelle vite precedenti. Essa ci riporta così a un’attitudine spirituale caratterizzata dal concetto di “reincarnazione”, cioè l’idea che il corpo di ogni essere sia portatore di una “coscienza” antica, già esistita diverse volte in altre forme.

In questa cornice si situa il buddhismo tibetano come visione religiosa del mondo e della vita. L’insegnamento Dzogchen ne è considerato l’essenza.

2. L’insegnamento Dzogchen e la danza

2.1. Cos’è lo Dzogchen

L’antica saggezza primordiale dello Dzogchen, che letteralmente significa “Grande perfezione”, è stata mantenuta viva e trasmessa per secoli da una generazione all’altra attraverso figure spirituali di rilievo chiamati “maestri”. Si tratta di una spiritualità intesa non come un’aspirazione a qualcosa di lontano e difficilmente raggiungibile ma come il riconoscimento della propria vera profonda natura e l’allenamento della capacità di dimorare in essa. Essa privilegia quindi una ricerca rivolta all’interno di sé piuttosto che volta a seguire quelli che considera gli infiniti miraggi e illusioni create dalla mente. È un percorso di consapevolezza e di conoscenza profonda dell’individuo, la cui totalità viene considerata come l’insieme di tre aspetti interconnessi: il corpo, la voce – o energia – e la mente.

Cosa sia il corpo fisico è sotto gli occhi di tutti: quando incontriamo un amico, lo riconosciamo immediatamente, ne riconosciamo le fattezze. L’energia è un aspetto più interno, è la forza vitale di ognuno: del mio amico posso intuirne le emozioni, percepire come sta. La mente, infine, è un aspetto ancora più nascosto e complesso, include la percezione dei sensi, il pensiero, il ragionamento. Presenteremo in questo articolo due diversi tipi di danze provenienti dal “Tetto del mondo” e trasmessi da un Maestro Dzogchen, il prof. Namkhai Norbu, a partire dai primi anni novanta del XX secolo.

Questi metodi armonizzano i tre aspetti della nostra esistenza appena menzionati – corpo voce e mente – utilizzando la musica e la danza per promuovere benessere ed elevazione spirituale: la Danza del Vajra e le Gioiose Danze Khaita.

− La Danza del Vajra è una danza sacra che conduce a un percorso di scoperta interiore utilizzando particolari suoni – o mantra – e un mandala.

− Le Gioiose Danze Khaita sono danze che utilizzano melodie tibetane in un percorso di consapevolezza del movimento, privilegiando l’aspetto della relazione interpersonale e della condivisione gioiosa.

Ho appreso queste danze direttamente dal prof. Namkhai Norbu, praticandole con lui molte ore al giorno per diversi anni. Da lui stesso ho ricevuto l’incarico di insegnarle e creare dei percorsi di formazione per nuovi istruttori.

2.2. Il Prof. Ch ögyal Namkhai Norbu

Esponente di primo piano della cultura tibetana e riconosciuto come uno dei più grandi maestri dell’Insegnamento Dzogchen, il prof. Namkhai Norbu ha introdotto questo antico insegnamento in occidente. Invitato in Italia nel 1960 dal tibetologo prof. Giuseppe Tucci per collaborare all’ISMEO, il prof. Namkhai Norbu ha poi insegnato per 40 anni Lingua e Letteratura Tibetana e Mongola all’Università di Napoli.

Si è reso conto che, per far sopravvivere la conoscenza dell’Insegnamento Dzogchen e proteggerla dal rischio di estinzione, era importante far uscire tale conoscenza dall’isolamento della terra dove si era sviluppata Questo rischio è particolarmente elevato se, come sta in parte accadendo, verrà persa la conoscenza della lingua tibetana attraverso la quale è stata custodita e trasmessa. Per questo è stato sempre grande l’impegno del prof. Namkhai Norbu a promuovere lo studio della lingua e della cultura tibetana. Le sue raccolte di canti e danze ne sono un esempio. Oltre a far conoscere la saggezza dello Dzogchen, egli ha dedicato la maggior parte della sua vita a cercare il modo di integrarla e renderla utilizzabile in diversi contesti culturali per favorire la crescita e l’evoluzione individuale:

Noi viviamo su questa terra, insieme a molte altre persone. Evoluzione significa sviluppare la comprensione della propria natura senza venire troppo condizionati dalla visione dualista, in questo modo saremo un buon esempio per la società. (…) Molti parlano di pace (…), ma come ,
possiamo avere pace nel mondo se non ci apriamo e pensiamo invece solamente a “me” o a “noi”, o vogliamo sempre cambiare qualcosa o qualcuno? Per avere la pace, ci serve l’evoluzione e questa deve svilupparsi nella condizione di ogni individuo. (Namkhai Norbu “Evoluzione e la nostra responsabilità verso tutti gli esseri senzienti”, The Mirror n.123 )

Un passo importante verso l’evoluzione è quindi la capacità di osservarci, senza paura e con onestà, scoprire le nostre tensioni e saperle sciogliere, trovando così uno stato rilassato senza sforzo. Questo sarà di esempio per gli altri e, partendo dal singolo, potrà avvenire un po’ alla volta un profondo cambiamento nella società.

3. I due metodi: la danza del Vajra e le gioiose danze Khaita

3.1 La Danza del Vajra


Vajra è un termine sanscrito che significa “diamante”. Simboleggia la nostra vera natura, la nostra condizione primordiale che, come il diamante, è solida, stabile e indistruttibile.

Danziamo la Danza del Vajra su un mandala di cinque colori: rosso, verde, giallo, bianco e blu.

(Disegno di mandala, sequenza di passi, Namkhai Norbu, 1991)

Il mandala è un diagramma che simboleggia la corrispondenza fra la dimensione interna dell’individuo (microcosmo) e quella esterna del mondo (macrocosmo).

Un mandala ha sempre un centro, da cui sorge e si spande l’energia, e una periferia che include tutte le proiezioni nello spazio e nel tempo, cioè tutto ciò che dal centro si manifesta. I colori con cui è rappresentato il mandala sono l’essenza dei cinque elementi costituenti tutto ciò che esiste sia nel corpo del danzatore che nel mondo esterno: il fuoco (rosso) è il calore, la vitalità; l’aria, (il colore verde) è il vento – pensiamo alle foglie degli alberi che si muovono – ed è collegata alla respirazione; la terra (giallo) è la base che ci sostiene e nel corpo fisico corrisponde alle ossa; l’acqua (bianco) è la parte liquida, il mare, gli oceani, e nel corpo corrisponde al sangue, alla linfa vitale; lo spazio (blu) è l’elemento che contiene tutto, è collegato alla mente capace di manifestare qualunque pensiero o immagine.

I colori e i cerchi concentrici del mandala fanno da guida ai movimenti e ai passi dei dodici danzatori che, in percorsi e sequenze codificate, si snodano in senso orario per i sei danzatori e in senso antiorario per le sei danzatrici. I movimenti – a volte simmetrici, altre volte a specchio o complementari rappresentano anche il gioco dell’interazione delle energie femminile e maschile.

I due cerchi dei danzatori e delle danzatrici si fondono e si ricreano lungo tutte le direzioni del mandala con passi alternati (piede destro e sinistro con movimenti delle braccia corrispondenti), con rotazioni su se stessi sia in senso orario che antiorario. Si poggia bene il tallone all’inizio del passo, creando una base di appoggio sulla terra da cui sorge il movimento successivo, senza soluzione di continuità. I movimenti sono lenti e leggeri, morbidi, le braccia portano verso l’alto, creando un ponte fra terra e cielo, fra dimensione materiale e spirituale. Questo svolgersi del movimento in modo continuo e in una formazione circolare rappresenta il susseguirsi degli eventi, la ruota della vita che, considerando il ciclo delle generazioni, non si interrompe mai.

Passi Pawo – giro completo

Il ritmo della danza è scandito dalla melodia di suoni sacri, i mantra: suoni in una lingua che è considerata la più antica, il sanscrito, dove il suono rappresenta proprio l’essenza dell’oggetto o del nome. Per questo i suoni riproducono nel corpo vibrazioni collegate a sonorità primordiali, attivando e armonizzando energie profonde.

Nell’Insegnamento Dzogchen si dice che il corpo ha origine dal suono, è come suono “materializzato”. L’energia o forza vitale è concentrata in centri o punti chiamati chakra, dai quali si sviluppa il corpo fisico. Un mantra ha la funzione di collegarsi al suono interno, di coordinare l’energia e farla scorrere senza blocchi o ostacoli.

Danzare in sincronia, immersi nei colori e accompagnati da questi suoni che toccano le corde più profonde del nostro essere, crea un effetto di risonanza e di apertura a una dimensione contemplativa. Oltre a promuovere il benessere personale, la funzione della Danza del Vajra è anche quella di portare beneficio agli altri: facciamo questo prima di tutto con l’intenzione, creando un pensiero di amorevolezza verso tutti gli esseri senzienti, che verrà poi potenziato dai mantra e dai gesti simbolici.

In una delle diverse Danze del Vajra, alla fine di ogni sequenza di passi portiamo la mano sinistra al cuore, sede dei sentimenti di amore e compassione, mentre la mano destra ruota all’altezza del fianco destro e rimane con il palmo aperto in una mudra, o gesto, che rappresenta proprio l’azione di offrire questi sentimenti in modo equanime a tutti gli esseri senzienti.

Nel seguente video, potrete riconoscere gli aspetti e le caratteristiche della Danza del Vajra finora descritti: https://www.youtube.com/watch?v=1e4AXSPch9w

3.2 Le Gioiose Danze Khaita – Armonia nello Spazio

La poesia, le canzoni popolari e le danze sono espressione della cultura di un paese. Nelle scuole tibetane canzoni e danze popolari vengono regolarmente insegnate ai bambini: sono parte della loro tradizione. Ad esempio, con la danza si festeggia l’arrivo della primavera che porta con sé la gioia di riunirsi e ritrovarsi dopo il lungo inverno. La danza è la celebrazione della vita, della gioia di stare insieme.

Le Gioiose Danze Khaita sono anche altro, rispetto ai canti e alle danze tradizionali. Khaita in tibetano significa “Armonia nello Spazio”. Il prof. Namkhai Norbu ha proposto un metodo originale che utilizza queste danze e canti per promuovere nell’individuo una condizione gioiosa di rilassamento, serenità e consapevolezza. Nato in Tibet, ma vissuto in Occidente per la maggior parte della sua vita, si è reso conto delle lacune dell’educazione occidentale e delle limitazioni che i ritmi della società moderna impongono; ha quindi collezionato centinaia di canzoni scegliendole in base alla melodia e al significato dei testi. Le parole e i valori espressi nelle canzoni (che sono valori universali: pace, amore per la propria terra, rispetto per l’ambiente, collaborazione, superamento di barriere e pregiudizi) prendono forma nelle coreografie tradizionali e in quelle elaborate in modo originale dal prof. Namkhai Norbu insieme a danzatori provenienti da molti paesi.

Sono danze semplici, la maggior parte delle quali eseguite in cerchio. Appartengono però a questa raccolta anche danze dalle coreografie più elaborate, adatte soprattutto agli spettacoli. Queste danze sono abbastanza dinamiche, con frequenti cambi nel ritmo accompagnati da variazioni nei passi. Le braccia si muovono in modo ampio e morbido, continuo e non a scatti, accompagnando i passi e guidando, se previste dalla coreografia, rotazioni su sé stessi. Alcune sequenze di passi vengono eseguite nello stesso posto, altre spostandosi lateralmente, altre ancora seguendo la direzione del cerchio di danzatori che ruota in senso orario o antiorario.

La grande varietà delle Gioiose Danze Khaita (sono più di duecento) allena il danzatore a riconoscere il ritmo sul quale muoversi, insegnando in senso più lato a comportarsi in modo corrispondente nelle circostanze più diverse. “Entrare nel ritmo ci insegna a essere consapevoli della dimensione temporale in cui viviamo, a essere presenti e agire adeguatamente alle circostanze che continuamente cambiano”, ha affermato di frequente il prof. Namkhai Norbu. E questo non può non richiamarci alla mente le parole di Maria Montessori sul ritmo: Il ritmo non è come un’idea vecchia che si può cambiare o un’idea nuova che si può capire. Il ritmo del movimento fa parte dell’individuo, è un carattere insito in lui, quasi come la forma del corpo: e se questo è in armonia con altri ritmi simili, non può adattarsi a ritmi differenti senza sofferenze.
(Maria Montessori, Il segreto dell’infanzia, Garzanti, pag. 118) –

Quindi agire sul ritmo vuol dire rendere l’individuo più aperto, più adattabile agli altri e alle situazioni. Quando danziamo, proprio come si fa nella tradizione tibetana, cerchiamo di seguire le parole e di cantare: dal punto di vista didattico sappiamo che l’ascolto dei suoni di una lingua sconosciuta rende la mente più flessibile e che confrontarsi con una cultura nuova favorisce l’integrazione. La semplicità dei movimenti porta a imparare senza sforzo e il non avere una meta o un risultato da raggiungere stimola la collaborazione piuttosto che la competizione.

La formazione circolare nella danza ha molti aspetti interessanti e molti vantaggi: non c’è una posizione privilegiata, siamo tutti allo stesso livello; ci si può prendere per mano; per mantenere la forma circolare dobbiamo tutti collaborare, due persone sole non bastano a creare il cerchio. La possibilità di vedersi permette di riconoscersi negli altri come in uno specchio e correggere i propri movimenti, coordinarsi con gli altri e creare così un’armonia naturale, una coralità che va oltre il movimento del singolo. Il cerchio è una forma che ritroviamo continuamente in natura: dal movimento dell’acqua alla forma e all’orbita dei pianeti, è il simbolo del vuoto ma anche del pieno, perché possiede tutte le potenzialità, rappresenta il movimento perfetto, la forma perfetta senza angoli o interruzioni, senza inizio né fine. Da sempre gli esseri umani amano ritrovarsi intorno al fuoco per danzare o intorno a un albero. Tutti questi motivi fanno sì che danzando in cerchio ci sentiamo più rilassati. Suggerisco la visione di questo video che mostra come le Gioiose Danze siano diffuse e praticate in tutto il mondo: https://www.youtube.com/watch?v=icDJOxyOMnI

L’importanza della Danza del Vajra e delle Gioiose Danze Khaita è stata riconosciuta anche dal CID (Conseil International de la Danse), l’organizzazione ufficiale affiliata all’Unesco che raccoglie le forme di danza in tutti i paesi del mondo, che ha inserito questi due tipi di danze tibetane nei propri programmi ufficiali. Queste Danze, promosse in tutto il mondo da istruttori qualificati, insieme alle attività a esse collegate, si stanno estendendo in Italia e nel mondo attraverso corsi, seminari di formazione, presentazioni, spettacoli, situazioni di condivisione collettiva. Sono state presentate più volte alle Olimpiadi di Danza a Mosca, al festival Faiths in Tune al British Museum di Londra, durante vari congressi del CID nel meraviglioso teatro “Dora Stratu” di Atene; la Danza del Vajra è anche stata parte delle cerimonie di apertura della Biennale di Venezia nel 2017 e dell’evento interreligioso “Sport e religioni per la pace”, al teatro S.Carlo di Napoli nel 2019.

4. La danza come percorso educativo

4.1 Finalità

Cosa rende la danza un valido strumento educativo?

Fare danza significa realizzare e condividere assieme a bambini e ragazzi momenti di esperienza emozionale, ludica e relazionale per promuovere una crescita equilibrata e globale della persona. Attraverso la danza l’allievo impara a conoscere il proprio corpo e a usare il movimento come mezzo di comunicazione con gli altri, impara a scoprire che la qualità del movimento è strettamente collegata allo spazio usato, alla musica, al ritmo e, non ultimo, alle persone che lo circondano.

L’elemento ritmico-musicale riveste un’importanza fondamentale nella formazione dell’individuo. In particolare, secondo il teorico e coreografo Rudolf Laban, nella danza si realizza una cooperazione organizzata delle nostre facoltà mentali, emotive e corporee che si traduce in azioni che sono della massima importanza per lo sviluppo della coordinazione, dell’armonia e della personalità. In questa prospettiva, danza vuol dire principalmente sapersi muovere in modo consapevole e saper osservare. Essa esercita una notevole influenza sui vincoli sociali della persona. La vicinanza dei compagni, il bisogno di esprimersi e di comunicare con loro, il desiderio di essere capiti, stimolano a rinsaldare i rapporti di amicizia e favoriscono l’integrazione. La danza può diventare uno strumento per superare i conflitti tipici dell’età e far confluire le caratteristiche del singolo in un gruppo armonioso.

4.2 Acquisizioni

4.2.1 Funzionali

a – Coordinazione motoria generale: la percezione del proprio corpo in movimento favorisce la strutturazione dello schema corporeo, che la danza contribuisce a integrare e completare.

b – Coordinazione segmentata: è la capacità di coordinare il movimento degli arti inferiori e superiori, (muovendo per esempio gamba e braccio destri oppure gamba e braccio opposti, cioè gamba sinistra e braccio destro) e l’uso indipendente degli arti superiori e inferiori (per esempio eseguire passi e gesti contemporaneamente); tale capacità favorisce ancor più la presa di coscienza del proprio schema corporeo.

c – Lateralità: l’allievo è stimolato costantemente a prendere coscienza della propria lateralità (destra e sinistra) in relazione a sé, agli altri e allo spazio circostante.

4.2.2 Cognitive

La danza favorisce:

a – l’organizzazione spaziale e l’orientamento, caratterizzati dalla direzione del movimento (avanti/indietro, sinistra/destra), dalla sua estensione (grande/piccolo, corto/lungo, vicino/lontano), dal livello (alto/basso), dal percorso (zig zag, spirale, circolare).

b – la temporalità che si esprime attraverso la durata (lento/veloce), la successione delle azioni (prima/dopo) o la simultaneità: due movimenti uguali nello stesso momento o due movimenti diversi nello stesso momento. c – il senso ritmico: se il ritmo è un movimento naturale, il corpo è lo strumento ritmico per eccellenza: movimenti veloci implicano scioltezza e vivacità, quelli lenti presuppongono controllo, equilibrio e calma interiore.

d – l’imitazione motoria: al termine di una sequenza coreografica appresa per imitazione, l’allievo potrà ripeterla a livello mentale. Questo favorisce la capacità di interiorizzazione e di rappresentazione. e – la memorizzazione delle sequenze di passi e delle figure delle coreografie.

4.2.3 Potenziamento fisiologico

Attraverso l’attività di danza l’allievo migliorerà la funzione cardio-respiratoria, la mobilità e la scioltezza muscolare.

4.2.4 Relazionali

La danza è un’attività collettiva che si attua in un contesto di gioco e di divertimento. Per tale ragione favorisce il senso di socializzazione, di appartenenza e coesione, oltre ad alimentare la cooperazione in vista del raggiungimento di un fine comune. I balli collettivi offrono agli alunni numerose occasioni in cui scoprire il “piacere di fare e giocare” con i compagni attraverso il movimento. Fondata sul rispetto delle regole, la danza di gruppo sviluppa la fiducia in sé stessi e negli altri con conseguente miglioramento dei processi di autostima. Questi aspetti relazionali fanno della danza un importante strumento di integrazione di alunni con disagio e/o problematiche socio-relazionali, assolvendo talvolta a una funzione terapeutica.

5. Un approccio integrato

La cura e l’allenamento del corpo sono importanti anche nella cultura occidentale, ma movimento e attività fisica hanno spesso la connotazione della competizione e dello sforzo. Pensiamo a tutti gli sport in cui si gareggia per arrivare primi, o si cerca di superare dei record: abilità e sforzo ne sono i cardini portanti. Oppure hanno una funzione estetica, sia come forma d’arte (danza classica, ginnastica artistica) che come strumento per modellare il corpo: la danza è uno strumento per diventare più belli, piacenti, piuttosto che per coltivare la sensibilità.

Le danze locali e tradizionali invece trasmettono funzioni e obiettivi diversi, ma hanno ricevuto attenzione e spazio nei percorsi educativi solamente in determinate epoche. Le discipline orientali hanno invece una comprensione più globale della persona volta a promuovere il benessere, privilegiano lo sviluppo armonioso di tutto l’individuo e il benessere equilibrato piuttosto che uno strenuo allenamento o il rafforzamento di alcune parti del corpo.

I metodi che abbiamo presentato sono un eccellente strumento pedagogico se integrati in una didattica secondo i principi di un’educazione basata sullo sviluppo della personalità attraverso l’esperienza, come nel metodo Montessori, dove il bambino “assorbe il mondo” non tanto attraverso la parola e il ragionamento, quanto attraverso gli stimoli sensoriali che riceve dall’ambiente. Cosa più del danzare in un modo rilassato e con la mente aperta ci permette di utilizzare pienamente i due sensi più importanti nello sviluppo, cioè l’udito (suono, musica) e la vista (muoversi nello spazio e insieme agli altri e vedere ciò che ci circonda muoversi con noi)?

Maria Montessori considera l’educazione come un “aiuto alla vita”, attribuendo al movimento un ruolo fondamentale in quanto strettamente correlato con lo sviluppo dell’intelletto:

È un errore dei tempi moderni il considerare il movimento a sé, come distinto dalle funzioni più elevate: si pensa che i muscoli esistano e debbano essere usati solo per mantenere nelle migliori condizioni la salute del corpo; così si coltivano gli esercizi e i giuochi ginnastici per mantenerci in efficienza, per respirare profondamente, oppure per assicurarci un miglior funzionamento delle funzioni digestive e il sonno. (…) Sarebbe come se, fisiologicamente parlando, un grande principe fosse costretto a servire un pastore. Questo gran principe – il sistema muscolare – è usato e ridotto ad essere soltanto uno strumento per il sistema vegetativo. Questo grave errore conduce a una frattura: la vita fisica da un lato e quella mentale dall’altro. (…) Lo sviluppo mentale deve essere connesso col movimento e dipende da esso. (Montessori “La mente del bambino”, ed. Garzanti 1999, Milano, pag.141).

Montessori sottolinea inoltre la correlazione fra intelligenza e sviluppo delle abilità della mano, quasi che “lo scopo dell’intelligenza sia il lavoro delle mani” (ivi pag.150). Ed è proprio l’utilizzo delle mani un elemento cardine delle due danze qui presentate: la mano guida il movimento del braccio e dà vita a quei gesti, mudra, atti a rappresentare il contenuto della danza. Montessori afferma che esiste, nel bambino, una “forza che armonizza tutti i compiti fra loro” e ripone grande speranza in una educazione che, favorendone lo sviluppo, porti “l’umanità ad una maggior comprensione, a un maggior benessere, a una maggiore spiritualità”. (Montessori “La mente del bambino”, ed. Garzanti 1999, Milano, pag.67).

Per tutti questi motivi riteniamo che i due metodi di danza proposti in questo articolo possano notevolmente contribuire a un percorso educativo volto a promuovere la consapevolezza, l’evoluzione dell’individuo e della società.

Bibliografia

Namkhai Norbu “The Light of Kailash”, Vol.III, Shang Shung Publication, 2015, Arcidosso (GR) Namkhai Norbu “Nascere, vivere e morire secondo la Medicina Tibetana e l’Insegnamento Dzogchen”, Edizioni Shang Shung, 1992, Arcidosso (GR)
Namkhai Norbu “Lo Specchio – un consiglio sulla presenza e consapevolezza”, Ed. Shang Shung, 2005, Arcidosso (GR)
Namkhai Norbu “Evoluzione e la nostra responsabilità verso tutti gli esseri senzienti”, The Mirror n.123
Maria Montessori “La mente del bambino”, Ed.Garzanti 1999, Milano
Maurizio Padovan “Danzare a scuola”, Ed.Progetti Sonori 2012, Mercatello sul Metauro (PU) Rudolf Laban “L’arte del movimento”, Ephemeria 1999, Macerata