The Golden Garuda
The Extraordinary Life of Modern Day Mahasiddha Jigme Phuntsok Rinpoche

di Khenpo Sodargye,
Shambhala Publications 2025,
pp. 245, ISBN 9781645473190

Always Present – The Luminous Wisdom of Jigme Phuntsok
A cura di Khenpo Sodargye,
Shambhala Publication 2015,
pp. 130, ISBN 9781559394505

Recensioni di Alexander Studholme

Le vite di molti dei grandi lama che seguirono il Dalai Lama in esilio nel 1959 sono ben documentate. Molto meno si sa di coloro che rimasero nel Tibet occupato dalla Cina: le informazioni tendono ad essere frammentarie e spesso disperatamente tristi. In questo contesto, quindi, spicca The Golden Garuda, la biografia di Khenpo Jigme Phuntsog (1933-2004). È un monumento al successo spirituale, un resoconto dettagliato di un incredibile maestro buddista che, nonostante le difficoltà del suo tempo e del luogo in cui viveva, è stato in grado di realizzare cose incredibili. Durante il loro incontro a Dharamsala nel 1990, il Dalai Lama lo definì semplicemente “il protettore del Dharma nella Terra delle Nevi”.

Khenpo Jigme era famoso soprattutto per aver fondato Larung Gar, un insediamento religioso situato in una remota valle del Tibet orientale, che negli anni ’90 era diventato letteralmente la più grande istituzione buddista del mondo, sede di migliaia di praticanti e luogo di formazione di una nuova generazione di insegnanti buddisti. Come ciò sia stato possibile rimane in gran parte inspiegabile: si tratta essenzialmente di una devota agiografia, scritta da un discepolo stretto, in cui la politica raramente fa capolino. I primi capitoli descrivono gli orrori della Rivoluzione Culturale, dalla quale Khenpo Jigme – continuando a indossare la sua veste monastica, sebbene sotto i suoi abiti esterni – emerge miracolosamente illeso. Ma da quel momento in poi le autorità cinesi si fanno notare solo per la loro assenza.

Era davvero un uomo rinascimentale, un uomo dai molti aspetti e sfaccettature. Nelle prime foto – corpulento, con lineamenti marcati e avvolto in abiti foderati di pelle di pecora – Khenpo Jigme sembra più un pugile dei pesi massimi che un maestro spirituale. Più tardi, può sembrare gentile, quasi materno. Studioso esperto dei primi testi indiani, era in grado di sconfiggere i geshe Gelugpa nei dibattiti, mentre era anche, a quanto si legge, uno dei pochi lama rimasti in Tibet in grado di insegnare autenticamente lo Dzogchen. Era un prolifico terton: le pagine della biografia sono piene di descrizioni della meravigliosa scoperta di pietre, statue e scrigni del tesoro. I sariras, perle soprannaturali, “spesso cadevano dal cielo” durante i suoi insegnamenti.

All’interno di una ricca vita visionaria, si identificò come il figlio di un ministro del re Gesar, il mitico guerriero tibetano del Dharma. Uno dei passaggi più coloriti del libro racconta un sogno in cui entra nella corte del re Gesar – “un palazzo costruito con gioielli preziosi” – dove incontra una bella ragazza Khampa, che gli canta una bellissima canzone vajra. Un altro capitolo descrive come egli raduni una grande folla per aprire un “portale terma” attraverso il quale i fedeli possono entrare direttamente in un regno puro. Inoltre, egli spera di consentire “ai ricercatori scientifici di testimoniare questo sostanziale mistero buddista con i propri occhi”. Quando non riesce a realizzare questa straordinaria ambizione, piange.

Emergono alcuni temi ricorrenti: numerosi incontri con Guru Padmasambhava e Mipham, una delle figure centrali del movimento non settario rimed del Tibet dell’inizio del XX secolo; la devozione a Manjushri, il Bodhisattva della Saggezza, e a Yamantaka, la forma irata di Manjushri; l’enfasi sulla preghiera di aspirazione Mahayana di Samantabhadra e, infine, sulla pratica Vajrayana di Vajrakilaya, la divinità yidam di Terton Lerab Lingpa, il lama che si dice essere la precedente incarnazione di Khenpo Jigme.

È sorprendente che, nonostante tutte queste attività tipiche dei mahasiddha, Khenpo Jigme rimase un monaco. Prese i voti a quattordici anni e fu intronizzato come lama qualificato all’età di ventiquattro anni. In questo momento cruciale, avrebbe potuto tornare alla vita mondana. Apparve una donna – “di una bellezza mozzafiato” – che annunciò di essere una dakini con forti legami karmici con lui e che, prendendola come sua consorte, avrebbe notevolmente aumentato i suoi poteri spirituali. Con grande disappunto di alcuni suoi colleghi lama, che sostenevano che una consorte fosse davvero benefica per la vita di un terton, Khenpo Jigme la rifiutò. Egli insistette sul fatto che per lui era più importante mantenere l’immagine di un monaco puro in un’epoca, come diceva lui, in cui troppi individui mediocri “praticano il cosiddetto yoga della consorte per il loro desiderio egoistico e la loro lussuria”.

Questa enfasi sul mantenimento della purezza del sangha non rese Khenpo Jigme più popolare. Nel 1985, in segno della sua autorità, fece circolare una lettera aperta ai monasteri di tutto il Tibet orientale, affermando che tutti i monaci dovevano mantenere i loro voti in modo puro. “Dopo la rettifica”, osservò pubblicamente, “molte persone mi odiavano profondamente e mi calunniavano senza motivo… [ma] se non fosse stato introdotto alcun intervento, il buddhismo sarebbe stato condannato se fosse rimasto così com’era”. Le sue riflessioni su questo tema si trovano anche in Always Present, un breve volume che raccoglie i suoi insegnamenti. In esso, egli mette in guardia a lungo dai pericoli rappresentati dai monaci illusi, corrotti e avidi e dai falsi tulku, aggiungendo con modestia che non ha mai pensato di essere la vera reincarnazione di Lerab Lingpa.

Khenpo Jigme Phuntsok non si limitò a far rivivere, mantenere e sorvegliare la tradizione buddhista, ma fu anche creativo e lungimirante. Introdusse nella sua comunità un numero senza precedenti di monache per il Tibet orientale, conferendo ad alcune di loro il grado più alto di khenmo, consentendo loro così di diventare insegnanti a pieno titolo. E, cosa forse ancora più significativa, nel 1986 iniziò a incoraggiare uomini e donne cinesi a venire a Larung Gar per praticare il Dharma.

Per entrare in contatto con il pubblico cinese, Khenpo Jigme guidò diversi gruppi di migliaia di devoti in alcuni dei principali luoghi di pellegrinaggio buddisti cinesi, come il Monte Emei e il Monte Wutei, dove commissionò molte statue di Guru Padmasambhava. Poi, verso la fine della sua vita, Khenpo Jigme propagò con fervore la pratica di recitare il nome del Buddha Amitabha coltivando l’intenzione di rinascere nella sua Terra Pura: una forma di buddhismo Mahayana che, pur essendo un elemento consolidato del sistema tibetano, è ovviamente molto popolare anche in Cina.