By Rachael Stevens
Snow Lion 2022
264 pages
ISBN – 9781611809695

Recensione di Alex Studholme

Tara rossa è la più esoterica e sessualizzata controparte della fanciullesca o materna forma del Buddha femminile, le onnipresenti Tara verde e Tara bianca. Rosso è il colore del desiderio e Tara rossa viene invocata per conquistare un oggetto desiderato. La sua funzione non è quella di proteggere o salvare dalla paura, ma quella di soggiogare e magnetizzare, i suoi principali attributi iconografici sono un gancio di acciaio per richiamare ed un cappio per legare. Tara rossa può essere invocata per ogni genere di cose: per controllare, ad esempio, le forze che si interpongono alla costruzione di un monastero o per accumulare le risorse necessarie per un lungo ritiro di meditazione. La sua pratica viene anche utilizzata da yogi e yogini per attrarre un/a consorte visualizzando il cappio che avvolge il collo e il gancio di acciaio che afferra il cuore oppure i genitali di un potenziale partner.

Questo libro deve le sue origini al momento in cui l’autore, Rachel Stevens, entrando nei recinti del Maha Bodhi Temple in Bodh Gaya, comprò un piccolo libro di Tara rossa di Chagdud Khandro, la moglie texana dello stimato maestro Nyingma Chagdud Tulku. Il suo interesse l’ha quindi portata a compiere un dottorato alla Oxford University e alla pratica personale all’ interno del sangha di Chagdud e altri gruppi buddhisti tibetani. Il risultato è un lavoro che, sebbene resti decisamente accademico, trasmette allo stesso tempo un forte senso di Tara rossa come una presenza viva e reale nel buddhismo contemporaneo. Dopo una lunga e generale introduzione a Tara , rimaneggiando materiale abbastanza noto, Stevens presenta una valutazione ad ampio raggio di Tara rossa che colma una lacuna significativa nella concezione occidentale complessiva del culto di Tara.

La pratica di Tara rossa si trova in tutte e quattro le scuole di buddhismo tibetano e si basa su testi indiani del XI° secolo. Stevens concentra il suo studio sul modo in cui questi testi sono stati ricevuti dalla scuola Sakya e su un ciclo moderno di terma di un Nyingma lama chiamato Apong Terton ,(1895-1945) che rappresenta la base della pratica nella Chagdud Gonpa Foundation. E’ intrigante il fatto che si dice che Apong Terton si sia reincarnato come il 41° Sakya Trizin e come tale rivenne a conoscenza del terma di Tara rossa mentre in esilio in India tramite un discepolo di Apong Terton che intraprese un viaggio dal Tibet per incontrarlo. Durante il viaggio, lo stesso discepolo conferì l’iniziazione del terma a Chagdud Tulku a Tso Pema.

Il tono degli antichi testi indiani così come quello del terma moderno è a volte apertamente magico. Una delle pratiche Sakya, ad esempio, implica uso di inchiostro di sangue naturale di una ragazza di 12 anni-. Chagdud Tulku nel frattempo sviluppa una propria pratica di Tara rossa che include metodi di guarigione con i cristalli. Entrambe le collezioni includono istruzioni sulla puja del fuoco. Il ciclo Nyingma include anche ricette per pillole chulen e una pratica di lunga vita. Possiamo vedere quindi come il mandala di Tara rossa ed una preghiera speciale per invitare la divinità possa essere stata offerta al Dalai Lama dai monaci di Mindroling nel 2005 quando si pensò che Sua Santità fosse stato confrontato da estremi ostacoli interni ed esterni.

Stevens include un capitolo su Tara rossa come Pitheshvari, divinità irata raffigurata in posizione danzante e le cui varie parti del corpo corrispondono ai 24 principali luoghi pitha in India dove yoghi e yoghini si radunavano per la ganachackra. Stevens dimostra anche il diverso modo in cui l’insieme delle 21 Tara viene interpretata così da includere forme di Tara rossa presenti nei commentari del grande missionario indiano Atisha, del laico Suryagupta del Kashmir del quale si dice fu curato dalla lebbra da Tara e, infine, nel Longchen Nyingthig di Jigme Lingpa.

Stevens include un capitolo su Tara rossa come Pitheshvari, divinità irata raffigurata in posizione danzante e le cui varie parti del corpo corrispondono ai 24 principali luoghi pitha in India dove yoghi e yoghini si radunavano per la ganachackra. Stevens dimostra anche il diverso modo in cui l’insieme delle 21 Tara viene interpretata così da includere forme di Tara rossa presenti nei commentari del grande missionario indiano Atisha, del laico Suryagupta del Kashmir del quale si dice fu curato dalla lebbra da Tara e, infine, nel Longchen Nyingthig di Jigme Lingpa.

Come per Tara rossa, la pratica tibetana di Kurukulla è ampiamente radicata in testi indiani trasmessi nel secolo XI°. Lei è ancor più apertamente una divinità di amore magico, ed usa le sue frecce per stregare un ricercato uomo o donna. Gli altri potenziali risultati della sua pratica sono numerosi, includono l’abilità di vedere gli spiriti, la coercizione di ufficiali governativi e la capacità di superare esami. Più comunemente però viene invocata per accumulare ricchezze e invocata dai lama per attrarre studenti. Una preghiera a Tara rossa come Kurukulla nel terma di Apong così dice: Come si possono acquisire le qualità per attrarre discepoli senza dipendere sulla soggiogazione? Possa io soggiogare tutti coloro che devono essere addestrati, buoni e cattivi, facendo sorgere in loro le quattro devozioni.

Come però chiarisce Stevens, la pratica di entrambe queste divinità, è alla fine considerata come mezzo per raggiungere l’illuminazione, scopo finale del buddhismo. Menziona prima di tutto i lama tibetani Palden Sherab e Tsewang Dongyal che affermano: Tara rossa…. è una pratica speciale per attivare la nostra realizzazione e superare l’attaccamento all’ego e stati di nevrosi. Con il suo aiuto ci liberiamo dalla prigione del nostro ego e siamo così in grado di raggiungere tutti gli esseri senziente col bodhicitta. Stevens cita quindi la studiosa occidentale Miranda Shaw che scrive: Quando Kurukulla emerge nel pantheon la sua sfera di influenza si espande dalla compulsione per oggetti desiderati alla conquista del pensiero concettuale, insegnamenti buddhisti fino alla consapevolezza primordiale.

Il libro di Stevens contiene una ricchezza di dettagli e rivela la considerevole varietà e sfumature di queste pratiche. Apprendiamo poi che nella scuola Sakya una certa iniziazione di Kurukulla dipende dall’aver prima ricevuto il potenziamento di Hevajra. Contrariamente, la comunità FPMT di Lama Zopa ha pubblicato un libretto di 12 pagine su Kurukulla che apparentemente permette a chiunque di eseguire il rituale senza aver ricevuto alcuna iniziazione. Traduzione italiano di Antonio Ferraro