Nel corso della nostra ultima visita a Dzamling Gar, Adriano Clemente mi ha ricordato di scrivere un articolo per il Mirror su come ho incontro con Chögyal Namkhai Norbu. Mi sono sentito onorato e ho avvertito l’obbligo di seguire questo consiglio.
Sono nato il quarto giorno del sesto mese dell’anno del Topo di terra, rispetto al calendario lunare, il 4° giorno di giugno 1948 secondo il calendario occidentale, in un villaggio vicino al monastero di Rongbuk chiamato Chödzong, ai piedi del monte Everest. I miei genitori si trasferirono da Lhasa in questo luogo remoto in ragione della nascita di mio fratello maggiore, che era stato riconosciuto come la reincarnazione di Zatul Rinpoche, il fondatore del monastero di Rongbuk. I genitori di mia madre provenivano dal Kham ed erano migrati a Lhasa perché erano commercianti. La famiglia di mio padre era originaria di Nyethang, vicino Lhasa, che è legata al maestro buddhista Atisha e a un tempio dedicato a Tara. Atisha era originario del Bengala, in India, e insegnò in Tibet per 13 anni. La sua residenza, dove morì nel 1054, era Nyethang Drolma Lhakhang. Il tempio è famoso anche per le 21 statue di Tara che si racconta siano rimaste intatte anche durante le tremende distruzioni avvenute durante la rivoluzione culturale.
Nel luogo in cui nacqui, Chödzong, c’era la residenza della nostra famiglia mentre mio fratello viveva nel monastero di Rongbuk, dove riceveva l’istruzione monastica prevista dalla tradizione. Ogni tanto mi capitava di stare a Rongbuk, non solo per fare compagnia a mio fratello, ma anche per imparare a leggere e scrivere il tibetano.
Il monastero segue la tradizione Nyingmapa e il suo fondatore era chiamato Zatul Rinpoche. Quando mio fratello si trasferì in Svizzera prima del resto della famiglia, disse che il nome della sua famiglia era “Zatul”; Così da allora tutti noi prendemmo questo cognome. Ciononostante, quando scrivo in tibetano non mi sento davvero a mio agio con il mio nome per via di questo “tul”, che significa “incarnazione”.

Lobsang con i suoi genitori
La mia famiglia fuggì dal Tibet nel 1959 a causa dell’invasione cinese. Avevo undici anni. Dopo aver ricevuto l’informazione da un amico di famiglia che i cinesi erano intenzionati ad arrestare mio fratello e mio padre, che era stato nominato amministratore del monastero dal governo tibetano, fummo costretti a scappare in gran fretta.
In un certo senso siamo stati molto fortunati perché all’epoca mio fratello era per caso a Chödzong, altrimenti sarebbe finito in prigione. E poi, una volta partiti, abbiamo avuto un’altra fortuna, perché incontrammo sul cammino gli yak che appartenevano al monastero. Gli allevatori degli yak ci dissero di portarli con noi perché al confine con il Nepal avremmo dovuto attraversare un passo ghiacciato molto alto, dove i cavalli non sarebbero stati d’aiuto, mentre con gli yak saremmo riusciti a superarlo. Perciò, felicemente arrivammo al confine dell’Himalaya con cavalli e yak e solo a quel punto lasciammo i cavalli e proseguimmo con gli yak.
Tuttavia, in quel momento non sapevamo cosa stesse accadendo a Lhasa. Pensavamo che dopo essere scappati e aver passato qualche mese fuori dal paese saremmo potuti tornare.
In Nepal arrivammo a Naboche, una piccola città nella regione di Solukhumbu, l’area in cui gli alpinisti arrivano per le spedizioni sul monte Everest. I soldati nepalesi di stanza in quel luogo ci dissero di aver sentito per radio che c’era stata una rivolta a Lhasa e che il Dalai Lama era stato costretto a fuggire in India. Da quel momento comprendemmo che non saremmo più potuti tornare in Tibet.
In Nepal ci stabilimmo per un periodo presso il monastero di Tengboche, che era strettamente legato al monastero di Rongbuk, poi ci trasferimmo in India, a Dharamsala.
Abbiamo vissuto in India fino al 1963. Mio fratello riuscì a partecipare a un corso di formazione per giovani lama e le mie due sorelle frequentarono il Tibetan Institute of Performing Arts. Io fui mandato in una scuola tibetana a Mussoorie. I nostri genitori faticavano a mantenerci in quel periodo.

Da sinistra a destra. Mia madre, io, mio fratello e mia sorella al nostro arrivo all’aeroporto di Zurigo il 1° maggio 1963.
Per fortuna nel maggio del 1963 atterrammo all’aeroporto di Zurigo nel secondo gruppo di rifugiati tibetani trasferiti in Svizzera. Negli anni seguenti altri tibetani si stabilirono in Svizzera. Oggi abbiamo una comunità ben organizzata composta da oltre 7.000 tibetani che vivono in Svizzera, grazie alla quale possiamo tramandare la nostra identità alle giovani generazioni.
Quando arrivammo in Svizzera avevo quindici anni. Frequentai la scuola e alla fine feci studi commerciali che mi portarono a lavorare per circa 10 anni in una banca svizzera, dopodiché mi occupai di esportazioni e importazioni. Ebbi così un normale stile di vita svizzero, con nessuna connessione spirituale o professionale con la cultura tibetana.
Mentre lavoravo, incontrai molti tibetani che erano interessati a imparare la lingua tibetana e cominciai a insegnare loro. Fu un bene per me perché mentre insegnavo, io stesso mi interessai a imparare il tibetano. Fui fortunato perché il marito della mia sorella maggiore era anch’egli la reincarnazione di un grande lama e grazie a lui imparai molte cose.
Ho incontrato Namkhai Norbu Rinpoche in Svizzera, nel 1971, nella nostra casa di Ebnat-Kappel. Rinpoche venne con suo figlio, Yeshi, che allora era un bambino, per visitare Trijang Rinpoche, il precettore del Dalai Lama, che all’epoca era nostro ospite. Ciò che mi affascinò fu che Rinpoche cambiava i pannolini del bambino. Vedere un grande lama che fa qualcosa di così ordinario come prendersi cura di suo figlio mi fece una grande impressione.
Fui uno dei fondatori del Tibetan Youth Congress in Europe. Nell’aprile del 1975, invitammo Rinpoche a tenere una conferenza sulla storia del Tibet nel corso dell’incontro annuale della Tibetan Youth Association in Europe. Rinpoche ci parlò del suo nuovo libro “The Necklace of Dzi (gzi yi phreng ba)” (La collana di Zi, Shang Shung Edizioni, Arcidosso 1997), che scrisse per l’occasione come omaggio per noi giovani tibetani.
Rinpoche era uno studioso molto rispettato, sia in Tibet, sia all’estero. In ragione dei molti anni di insegnamenti ricevuti in maniera tradizionale in Tibet, combinati con la sua esperienza sulla metodologia di ricerca moderna appresa in Europa, Rinpoche acquisì una profonda conoscenza della storia tibetana.
In quel libro, Rinpoche ripercorre la storia del suo paese per quasi 4.’000 anni e respinge la teoria accettata pressoché da tutti che riduce la civiltà tibetana all’affermazione del Buddhismo in Tibet, circa 1.300 anni fa. Rinpoche, inoltre, confuta l’idea che i tibetani non avessero una forma di scrittura prima del regno di re Songtsen Gampo (m. 649). Ritiene che il regno di Zhang Zhung possedesse già prima di re Songtsen Gampo una sistema di scrittura sviluppato molto tempo prima.
Il libro fu pubblicato per la prima volta in tibetano dalla Library of Tibetan Works and Archives di Dharamsala, nel 1981. Considerata l’importanza di questo lavoro per un ampio pubblico, più tardi fu edita in inglese e pubblicata dall’Office of Information and International Relations di Dharamsala.
Alla fine dell’evento, Rinpche disse: “Se qualcuno di voi vuole venire a trovarmi, io vivo a Napoli e siete i benvenuti”.
L’anno seguente, io e un mio amico andammo a fargli visita a Napoli, dove incontrammo Rosa e i loro figli, Yeshi e Yuchen. Ricordo che il giovane Yeshi faceva le nove respirazioni di purificazioni la mattina presta, il che mi impressionò molto.
Una volta Rinpoche ci portò in campagna. Andammo in un vigneto dove comprò una grande bottiglia di vino, una damigiana (in italiano nel testo), e disse: “Prima che voi partiate, dobbiamo finirla”.
Rinpoche era anche bravo a cucinare. I Momo (ravioli tibetani) che faceva erano deliziosi. Ci sedevamo in cucina, bevendo vino, e lui ci dava insegnamenti in maniera del tutto informale. È stato uno dei momenti più felici della mia vita.
Mentre soggiornavamo a Napoli Rinpoche ci incoraggiò a creare connessioni con la cultura tibetana. Una volta scrisse per me il mantra di cento sillabe e io promisi di impararlo prima di lasciare Napoli. L’ultimo giorno riuscii a recitare il mantra a memoria di fronte a Rinpoche.
Sapemmo da Rinpoche che stava facendo la divinazione Tra. Visto che all’epoca eravamo giovani scapoli, volevamo sapere se ci saremmo sposati. Dopo aver effettuato i rituali necessari per il Tra, consultò lo specchio. Per me vide tre oggetti: una foto che sembrava la Monna Lisa in cornice, un ponte e dei fiori a una delle estremità del ponte. Per il mio amico, vide due dadi entrambi con il numero due.
Tradizionalmente, ognuno interpreta per sé stesso il significato della divinazione Tra. In quell’occasione, nessuno di noi due poteva dire cosa significasse.
Il tempo passava, ma io continuavo a pensare a quella divinazione. Poi, qualche anno dopo, ho incontrato la mia futura moglie, Kelsang. Mentre faceva le pratiche per il visto di entrata in Svizzera, Kelsang mi inviò la foto del suo passaporto, che io interpretai come la Monna Lisa in cornice.
Un giorno, mia sorella disse che il ponte poteva essere un riferimento all’oceano che separava me e Kelsang all’epoca. Mi sembrò abbastanza ragionevole. Una mattina ebbi poi un’esperienza tra sogno e realtà che mi fece comprendere che i fiori della divinazione si riferivano al nome di mia moglie: Kelsang Dolma rispetto a Kelsang Metog e Dolma Metog. Mi convinsi che quello era il significato dei fiori che vide Rinpoche nella divinazione Tra e che ciò significava che avrei sposato una donna con il nome di un fiore.

Rinpoche con Lobsang e Kelsang
Nel 1987, fummo invitati da una famiglia americana a far loro visita in Florida. In casa loro vidi per caso una rivista che menzionava il libro di Rinpoche Il cristallo e la via della luce (Il Cristallo e la Via della Luce – Sutra, Tantra e Dzogchen, Roma, Astrolabio-Ubaldini Editore, 1987). Mostrai il mio interesse per il libro al nostro ospite che a mia insaputa ordinò il libro. Che sorpresa e quale gioia! Tuttavia, ho dovuto leggerlo più volte per cogliere qualche aspetto dell’insegnamento Dzogchen. Ciononostante, crebbe così il mio interesse verso lo Dzogchen.
Al principio degli anni Novanta, nel corso di un evento del Tibetan Youth Congress in Svizzera, lessi un articolo a proposito di Namkhai Norbu Rinpoche, che avrebbe dato un insegnamento sullo Dzogchen a Kandersteg, in Svizzera. Il ritiro era organizzato dalla nostra compianta Christina von Geispitzheim, che al tempo viveva a Zermatt, in Svizzera. Su mia richiesta, riuscì a organizzare una sessione straordinaria di insegnamenti per un gruppo di tibetani prima che dell’inizio del ritiro. Io e Kelsang ci unimmo al gruppo di tibetani, insieme a mia suocera, che era una praticante Dzogchen. Ci siamo sentiti così fortunati nel ricevere un insegnamento così straordinario da Rinpoche. Personalmente, ero così affascinato dalla presenza di Rinpoche e dalle sue parole che decisi di rimanere per tutto il ritiro. Christina poi mi disse che non aveva mai visto Rinpoche così felice come dopo gli insegnamenti dati ai tibetani.
Quando per la prima volta ho ascoltato il Canto del Vajra di fronte a Rinpoche, ho capito che avevo trovato il mio guru radice. E MA HO! Traduzione di Luca Villa

Lobsang e Kelsang a Dzamling Gar recentemente